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Discarica Bussi, 700mila rubinetti inquinati in Abruzzo

«Un passo in avanti verso l’accertamento della verità»: è questo il primo commento del presidente del WWF Abruzzo Luciano Di Tizio dopo la pubblicazione, anche a livello nazionale, di brani significativi della relazione dell’Istituto Superiore di Sanità, datata…

«Un passo in avanti verso l’accertamento della verità»: è questo il primo commento del presidente del WWF Abruzzo Luciano Di Tizio dopo la pubblicazione, anche a livello nazionale, di brani significativi della relazione dell’Istituto Superiore di Sanità, datata 30 gennaio 2014, depositata durante il processo di Bussi in Corte d’Assise a Chieti dall’Avvocatura dello Stato.

In un passaggio si ribadisce, questa volta con i crismi di una autorevole relazione scientifica che “l’acqua contaminata è stata distribuita in un vasto territorio e a circa 700 mila persone senza controllo e persino a ospedali e scuole” e che “la qualità dell’acqua è stata indiscutibilmente significativamente e persistentemente compromessa”.

«È quello che il WWF sostiene da anni: in tutti in comuni della vallata, compresi due capoluoghi di provincia, Chieti e Pescara, è stata erogata almeno dal 2004 e forse anche da prima e sino al 2007 acqua contaminata – spiega Luciano Di Tizio– senza che nessuno si prendesse la briga di avvertire la popolazione. Mi viene da pensare che senza le nostre denunce si rischiava di proseguire nel silenzio chi sa sino a quando. Va tuttavia chiarito che i dati dello studio Iss si riferiscono a campionamenti effettuati nel 2007 e che fotografano la situazione di allora. Nel 2007, anche grazie alle denunce del WWF, i pozzi Sant’Angelo, quelli contaminati, vennero chiusi. Per l’acqua potabile vennero scavati altri pozzi, tuttora in esercizio, a monte della zona inquinata. Quindi il problema è l’acqua che abbiamo inconsapevolmente bevuto allora, non quella che gli acquedotti ci forniscono oggi. Resta da accertare se questo abbia comportato danni per la salute della popolazione, in particolare per le fasce a rischio: chiediamo da anni una indagine epidemiologica in tutta la vallata, per ora purtroppo invano».

La relazione dell’Iss attribuisce chiaramente la situazione allo “svolgersi di attività industriali di straordinario impatto ambientale in aree ad alto rischio per la falda acquifera e per le azioni incontrollate di sversamento”.  «Le valutazione e le eventuali attribuzioni di responsabilità – chiarisce Di Tizio – spettano alla Corte d’Assise.

A noi preme che il processo proceda senza intoppi dopo una fase preliminare da record, durata due anni e mezzo e oltre 30 udienze. In Assise è stato imposto un ritmo cadenzato, ma c’è stata una istanza di recusazione da parte di alcuni imputati nei confronti del presidente Geremia Spiniello che avrebbe promesso in una intervista di fare giustizia per il territorio. Una frase che a nostro avviso significa semplicemente che il giudice si ripromette di arrivare a una sentenza, impedendo la prescrizione dei reati. Un interesse che dovrebbe essere condiviso dagli imputati, che hanno peraltro tutti optato per il rito abbreviato. La Corte d’Appello esaminerà la questione l’8 aprile. L’auspicio è che non si perda ulteriore tempo, perché il territorio ha davvero bisogno che si faccia giustizia assolvendo gli innocenti e condannando gli eventuali colpevoli».

Il processo di Bussi è attualmente diviso di fatto in due tronconi:  presso la Corte d’Assise di Chieti, ed è la prima volta in Italia che un reato ambientale arriva in Assise, è in corso quello ormai in fase conclusiva che vede imputati 19 dirigenti ed ex dirigenti di Montedison e Solvay,  dopo l’inchiesta del Corpo Forestale per avvelenamento di acque e disastro ambientale . Di fronte al Tribunale di Pescara, in fase preliminare, è invece aperto un secondo processo con imputati dirigenti dell’Azienda consortile acquedottistica e un funzionario della Als.

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