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La lotta al Covid frena quella all’inquinamento da Plastica

2 miliardi di tonnellate è la quantità di rifiuti che un mondo sempre più popolato produce ogni anno. Un numero enorme che potrebbe crescere del 70% entro il 2050. E il fenomeno ha da qualche anno rischia di trasformarsi in una epidemia di plastica.

Il biennio 2020/2021 avrebbe dovuto segnare svolta nella lotta dei rifiuti di plastica in natura, che minacciano le specie e inquinano gli habitat. Ma la lotta al Covid sta frenando quella all’inquinamento da plastica, che si ripresenta nell’utilizzo di numerosi oggetti usa e getta.

Lago di Bracciano, foto di Paolo Nicolai

L’ultimo paper del WWF “La lotta al Covid frena quella all’inquinamento da plastica” approfondisce la questione a oltre un anno dall’inizio della pandemia.

EPIDEMIA DA PLASTICA

Se la sfida per fermare l’inquinamento da plastica non era facile prima del Covid, lo è ancora di meno ora che si è aggiunto il nuovo enorme problema delle mascherine. Realizzate in fibre di plastica e usate in tutto il mondo nel tentativo di proteggerci e contenere i contagi, le mascherine monouso sono diventate l’emblema di quest’ultimo anno. Si parla di 7 miliardi di mascherine ogni giorno a livello globale. La sola UE ne consuma circa 900 milioni al giorno: in peso sono circa 2700 le tonnellate che finiscono tra i rifiuti (o disperse in natura). Peraltro, essendo costituite da plastica composita e potenzialmente infette, non possono essere avviate al recupero e riciclo. 

Plastica in mare © naturepl.com / Sue Daly / WWF

GLI IMPATTI DELLA PLASTICA SULLE SPECIE MARINE

Solo nell’ambiente marino, il numero di specie colpite da rifiuti plastici (di varia natura e di varie dimensioni) è aumentato di oltre il 159% nel periodo 1995-2015 (passando da 267 a 693 specie[1]) e nei due anni successivi, dal 2015 al 2018, è ulteriormente raddoppiato arrivando a circa 1.465 specie.

Gli impatti sulla fauna possono essere suddivisi in quelli derivanti dall’intrappolamento, che può provocare lesioni, annegamento o strangolamento, all’ingestione che può avvenire direttamente quando un animale scambia la plastica per una preda, indirettamente attraverso il consumo di prede che contengono esse stesse plastica o attraverso il rigurgito di plastica che avviene quando gli adulti nutrono la propria prole.

La tartaruga marina una delle specie maggiormente soggette a intrappolamento e ingestione di plastica. Solo negli ultimi sei mesi delle 230 tartarughe marine che sono state trovate in difficoltà e portate nei centri di recupero WWF di Molfetta e Policoro, circa 30 hanno rilasciato plastica nelle vasche o comunque avevano rifiuti di plastica nello stomaco o nell’intestino, che hanno provocato conseguenze più o meno gravi sulla loro salute.

Tartaruga marina e plastica © Shutterstock Krzysztof-Bargiel / WWF

EFFETTO PANDEMIA SU CONSUMI E RIFIUTI

Una delle maggiori sconfitte nella lotta all’inquinamento da rifiuti plastici però potrebbe essere l’alterazione prolungata del comportamento dei consumatori. Il brusco aumento della plastica è infatti dovuto anche a cambiamenti nelle abitudini di acquisto: se pre-pandemia si stimava intorno al 40-45% il consumo di prodotti confezionati rispetto allo sfuso, con la pandemia si è arrivati al 60%. Il 46% delle persone che prima prediligeva lo sfuso è tornata ad acquistare prodotti imballati. Questo si spiega soprattutto con la cosiddetta “safe attitude”, cioè il ritenere più sicuri da contaminazioni i prodotti confezionati, sebbene non sia stato segnalato alcun caso di trasmissione del virus attraverso il consumo di alimenti.

I lockdown hanno stimolato anche gli acquisti online e con essi gli imballaggi plastici dei prodotti e i servizi di consegna di cibo, aumentati in media del 56%. Il monouso (spesso in plastica) è stato adottato anche per tutti i bar e ristoranti obbligati al take away. A favorire una maggiore produzione di plastica è entrato in gioco anche il drastico calo del prezzo del petrolio, vittima di una domanda globale in picchiata, che ha reso meno vantaggioso riciclare materiali plastici.

La produzione, il consumo e lo smaltimento di tutta questa plastica monouso in più aggraverà gli impatti ambientali e climatici. Il rischio che stiamo correndo è di una epidemia di plastica.

© MAITE BALDI / WWF-France

Secondo uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature Sustainability, quattro categorie di prodotti rappresentano quasi la metà dei rifiuti presenti in mare: sacchetti di plastica monouso, bottiglie di plastica, contenitori e posate per l’asporto e involucri vari per alimenti. La lista dei rifiuti più comuni annovera anche corde e attrezzi da pesca in plastica, coperchi e tappi di bottiglie e contenitori alimentari. Lo studio conclude come la plastica rappresenti l’80% dei rifiuti in mare, dato già noto, quello che sorprende è l’elevata incidenza dei contenitori da asporto e degli oggetti monouso in generale.

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