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Trivelle in mare, nuovo dossier WWF

Dopo aver colonizzato tutto l’Adriatico, il rischio perforazioni per l’estrazione degli idrocarburi, e dunque il rischio inquinamento, non cessa per il Golfo di Taranto, il Mar Ionio e il Canale di Sicilia e si estende ad un’area di…

Dopo aver colonizzato tutto l’Adriatico, il rischio perforazioni per l’estrazione degli idrocarburi, e dunque il rischio inquinamento, non cessa per il Golfo di Taranto, il Mar Ionio e il Canale di Sicilia e si estende ad un’area di mare grande quanto la Corsica tra la Sardegna e le Baleari. Sono ben 67 i progetti di coltivazione nei nostri mari (di cui 50 attvi e ben 29 in Emilia Romagna), 60 dei quali vedono l’Eni titolare o contitolare. Meno della metà di questi pagano royalty. Questo è quanto emerge dall’ operazione verità del WWF sulla mappa delle trivellazioni nei nostri mari dopo, che il 4 settembre scorso il ministro per lo Sviluppo Economico Flavio Zanonato ha annunciato di avere tolto, con il DM del 9/8/2013, 116.000 kmq di aree marine aperte ai petrolieri.

Ma in realtà, accusa Stefano Lenzi, Responsabile Ufficio Legislativo WWF, si tratta dell’ennesima beffa: “Il Governo in estate ha introdotto delle limitazioni, ma non è intervenuto sugli effetti della sanatoria del Decreto Sviluppo del 2012”. Ed ecco allora che, come denuncia il dossier Trivelle in vista”, zone di pregio marine e costiere continuano a subire la minaccia del rischio di inquinamento marino derivante  dalle attività di routine (come l’uso dell’air gun e di fanghi e fluidi perforanti durante le attività di ricerca e perforazione e rilascio delle acque di produzione) e al rischio di incidente per le piattaforme offhsore (come ha dimostrato il caso della piattaforma Deepwater Horizon  del 2010 nel Golfo del Messico).
Pur ricadendo nelle aree interdette dal DM 9/2013 sono del tutto valide l’istanza di coltivazione Ombrina Mare (a 6 km dall’istituendo Parco della Costa Teatina in Abruzzo) della Medoil Gas, e il permesso di ricerca del AUDAX di ben 657 kmq a Pantelleria nel Canale di Sicilia (area di grande pregio naturalistico dove si registra anche un’intensa attività vulcanica sottomarina). Sono fatte salve anche le 8 istanze di permesso di ricerca della già martoriata baia storica di Taranto.

Il WWF chiede al Governo di abbandonare la Strategia Energetica Nazionale – SEN, approvata nel marzo 2013 da un Governo dimissionario, che prevedeva l’irrealistico raddoppio della produzione di nazionale di idrocarburi, e di avviare un percorso verso la decarbonizzazione per il futuro economico ed ecologico del Paese.

Il gioco non vale la candela. Da stime ufficiali, sulla base dei dati forniti dallo stesso Ministero per lo Sviluppo economico, nei nostri fondali marini ci sono 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe, che coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane.

Ad oggi, secondo quanto documentato nel dossier “Trivelle in vista” del WWF sono attive nei mari italiani: 3 istanze di permesso di prospezione (in un’area di 30.810 kmq), 31 istanze di permesso di ricerca (in un’area di circa 14.546 kmq), 22 permessi di ricerca (in un’area di circa  7.826 kmq), 10 Istanze di coltivazione (in un’area di circa  1.037 kmq), 67 concessioni di coltivazione (che occupano un area pari a 9.025 kmq) con 396 pozzi produttivi in mare di cui  335  a gas e 61 a petrolio. 104 sono le piattaforme di produzione,  8 quelle di supporto alla produzione, 3 unità galleggianti di stoccaggio temporaneo.

La petizione WWF “No alle trivelle nel Canale di Sicilia, Sì al parco di Pantelleria”   ha già raccolto in pochi mesi oltre 35 mila firme.

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