La Giornata Mondiale dell’Ambiente che si celebra il 5 giugno, quest’anno è dedicata a quel materiale che condiziona a tal punto le nostre vite, che la nostra epoca geologica verrà principalmente riconosciuta e identificata per la sua presenza. La plastica permea ogni angolo del Pianeta: non solo un prodotto estremamente utile e da cui ormai dipendiamo ma, come oggi ci ricorda il WWF, una minaccia sistemica non solo per l’ambiente, anche per la salute umana. L’organizzazione approfitta della ricorrenza di oggi per lanciare, nell’ambito della sua campagna Our Future, il documento “Oltre la plastica: il peso nascosto dell’inquinamento”, un’analisi sui rischi legati alla plastica, compresi quelli per la salute umana ormai scientificamente accertati, accompagnata da una raccolta di soluzioni concrete a un problema che sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti.
Dalla sua diffusione su larga scala negli anni ’50, la plastica si è imposta per leggerezza, resistenza ed economicità, ma queste stesse caratteristiche ne hanno determinato anche l’enorme impatto negativo: di oltre 9 miliardi di tonnellate prodotti finora, una minima parte è stata riciclata. Una produzione che non accenna a diminuire, con più di 410 milioni di tonnellate, prevalentemente da fonti fossili, che ogni anno vengono immessi sul mercato. Le conseguenze sono evidenti: la plastica rappresenta l’80% dei rifiuti dispersi nell’ambiente marino e costiero del Mediterraneo, di questi oltre la metà è rappresentata da plastica monouso. Ciò è particolarmente preoccupante se si considera che il Mar Mediterraneo è un hotspot per la biodiversità marina, ospitando fino al 18% delle specie marine del mondo.
Negli ultimi anni, accanto all’allarme ambientale, è cresciuta anche la preoccupazione per le implicazioni sanitarie legate alla presenza di plastica nell’ambiente, in particolare sotto forma di micro e nanoplastiche (MNP). Numerose evidenze scientifiche hanno confermato che queste particelle – derivanti dalla frammentazione di oggetti plastici o prodotte intenzionalmente in forma micro o nano – si accumulano negli ecosistemi naturali, ma non si fermano lì. Proprio la loro dimensione infinitesimale e la capacità di infiltrarsi in tutti i comparti ambientali — acqua, aria, suolo — rendono le MNP capaci di entrare nella catena alimentare e penetrare negli organismi viventi, esseri umani inclusi. Le principali vie di esposizione per l’essere umano sono l’ingestione, l’inalazione e, in misura minore, l’assorbimento cutaneo. Numerosi studi hanno rilevato MNP in alimenti di largo consumo come sale, miele, carne, frutta, verdura e, in particolare, nei prodotti ittici. Le stime attuali suggeriscono che un individuo possa ingerire fino a 52.000 particelle di plastica all’anno. Anche l’inalazione è un fattore importante nell’assunzione umana di MNP: in un metro cubo d’aria ci possono essere fino a 5.700 MNP e un individuo può inalare fino a 22 milioni di questi minuscoli frammenti in un anno.
Dopo l’assunzione, le MNP possono attraversare barriere biologiche e distribuirsi nell’organismo. Sono state infatti rilevate nelle urine, feci, nel liquido seminale, nel latte materno ma anche in polmoni, fegato, reni, colon, placenta, ovaie, cuore e persino nel cervello, dove si pensava che la barriera ematoencefalica offrisse una protezione sufficiente. Studi recenti hanno rilevato concentrazioni di plastica nel cervello fino a quasi 7 grammi, l’equivalente del peso di una penna a sfera, con livelli anche 30 volte superiori rispetto ad altri organi, come fegato e reni.
Sebbene non esista ancora una relazione causale definitiva tra la presenza di MNP e specifiche patologie, le evidenze epidemiologiche e sperimentali stanno aumentando. Un recente studio condotto in Italia indica possibili relazioni causa-effetto con malattie cardiovascolari, come infarto e ictus. In ambito neurologico, le nanoplastiche potrebbero facilitare l’aggregazione patologica di proteine, un processo coinvolto in Alzheimer e altre forme di neurodegenerazione. Altri studi suggeriscono un impatto sulla salute riproduttiva e fetale, con riduzione della crescita intrauterina associata alla presenza di microplastiche nella placenta.
Ulteriore preoccupazione riguarda le sostanze chimiche contenute o associate alla plastica – come bisfenolo A, ftalati e ritardanti di fiamma, metalli pesanti– molte delle quali sono note per i loro effetti su sistema endocrino, apparato cardiovascolare e metabolismo. L’interazione tra particelle di plastica e additivi chimici amplifica la complessità del rischio sanitario e di impatto sulla biodiversità.
“Non possiamo più considerare la plastica solo un problema ambientale: i rischi per la salute umana sono reali, sistemici e in parte ancora sconosciuti. È necessaria una risposta globale, coordinata e ambiziosa”, dichiara Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia “Le evidenze scientifiche sulla presenza di micro e nanoplastiche nel corpo umano si stanno accumulando rapidamente, e ci parlano di un’esposizione quotidiana, invisibile e pervasiva. Anche se molte incertezze permangono sui meccanismi biologici e sulle soglie di rischio, il principio di precauzione impone un’azione immediata. Ignorare questi segnali oggi, significa accettare un costo sanitario e ambientale crescente e imprevedibile per il futuro.”
Di fronte a questo quadro, il WWF ha da tempo lanciato l’iniziativa globale “No Plastic in Nature”, con l’obiettivo di fermare la dispersione di plastica nell’ambiente entro il 2030. L’approccio è multilivello e coinvolge tutti: aziende, governi, cittadini, e chiunque possa fare la sua parte per ridurre la produzione di plastica, soprattutto quella più dannosa e non necessaria. Si punta a riprogettare i prodotti per renderli riutilizzabili in sicurezza, facilmente riciclabili e realizzati con materiali riciclati, naturali e più sicuri. Inoltre, si vogliono sviluppare soluzioni su larga scala per il riuso e il riciclo della plastica.
I governi sono chiamati a compiere un passo decisivo per l’adozione di un Trattato globale giuridicamente vincolante contro l’inquinamento da plastica, in vista della nuova sessione di negoziati ONU (INC-5.2) che si terrà a Ginevra dal 5 al 14 agosto 2025, dopo il mancato accordo dello scorso anno. All’Italia si chiede un ruolo attivo nei negoziati internazionali, l’adozione di politiche coerenti con gli obiettivi europei e globali, e il rafforzamento delle misure interne, tra cui l’estensione della raccolta differenziata ai settori ad alto consumo di plastica, l’attuazione della Plastic Tax e la piena applicazione della Legge Salvamare. Le aziende hanno il potere di agire autonomamente verso la riduzione della plastica non necessaria, progettazione di prodotti più idonei al riuso e riciclo, l’incremento dell’uso di materiali riciclati, e la trasparenza sulle modalità di produzione, eliminando o sostituendo le sostanze più tossiche e pericolose. I cittadini hanno la possibilità di ridurre il consumo di prodotti in plastica e di imballaggi, attraverso scelte consapevoli di acquisto, e hanno il compito di gestire, in ambito domestico, la propria raccolta differenziata correttamente. Infine, anche le città e i municipi possono partecipare attivamente, con azioni concrete per prevenire e monitorare la dispersione di plastica in ambiente, aderendo ad esempio al programma internazionale Plastic Smart Cities.
Il problema della plastica non può più essere considerato soltanto una questione ambientale. Le crescenti evidenze scientifiche indicano potenziali effetti sistemici sulla salute umana e sulla biodiversità, che necessitano un’azione urgente, coordinata e strutturale. Solo attraverso l’impegno congiunto di istituzioni, imprese, comunità locali e cittadini sarà possibile affrontare efficacemente questa crisi e tutelare il benessere delle generazioni future.