Il Piano Mattei puzza di gas

Anche se la Presidente parla d’altro, l’idea sembra essere sempre e solo l’hub energetico del gas

Il Comunicato Stampa di Greenpeace, Kyoto Club, Legambiente e WWF Italia

Anche se la Presidente parla d’altro, l’idea sembra essere sempre e solo l’hub energetico del gas.

Così si rischia di compromettere gli impegni internazionali.

Al Governo Meloni chiediamo un incontro per presentarle il vero piano energico di cui ha bisogno l’Italia, per diventare l’hub delle rinnovabili

Anche se la Presidente non lo ha esplicitamente nominato, in realtà è molto chiaro che nel Piano Mattei le rinnovabili non sono protagoniste, protagonista è ancora il gas, insieme ai disegni ENI sui biocarburanti.  È una visione miope sul futuro energetico del Paese e sul concetto di transizione ecologica. Il suo unico obiettivo pare essere quello di trasformare l’Italia in un hub energetico del gas attraverso una cooperazione che passa dall’Africa e dalle fonti inquinanti, aumentando la dipendenza energetica del Paese.  Una scelta insensata e anacronistica che sa di neocolonialismo, come è stato sottolineato anche in una lettera aperta della società civile africana.  Inoltre, il Piano rischia seriamente di compromettere gli impegni esistenti per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C e quelli presi nelle due ultime COP sul clima. A Dubai, tra l’altro, si è sancito l’impegno ad una “transition away from fossil fuels” cioè la fuoriuscita da gas, petrolio e carbone: l’Italia dovrà dire in che modo intende procedere in tal senso.  Il Governo Meloni, inoltre, non sta neanche tenendo conto degli effetti che la crisi climatica sta avendo sulle migrazioni e questa continua “corsa ai fossili” (gas e petrolio) in Africa da parte dell’Italia e di altre nazioni europee non fa che perpetuare l’emergenza climatica, così come la crisi alimentare e quella legata alla sicurezza, crisi che costringono le persone a migrare dall’Africa verso l’Europa. La strada che l’Italia deve seguire – continuano le associazioni – è un’altra: è quella fondata sulle rinnovabili che devono rappresentare l’asse portante della politica di decarbonizzazione dell’Italia e sostituire le fonti fossili. Il Paese ha tutte le carte in regola per diventare l’hub delle energie rinnovabili puntando su fonti pulite, efficienza, reti e accumuli, ma perché ciò avvenga è necessario un approccio di leadership audace, innovativo e inclusivo e che punti anche ad un aggiornamento ambizioso del PNIEC. Per questo chiediamo un incontro all’Esecutivo Meloni per confrontarci sul tema e per presentarle il vero piano energetico green e sostenibile che serve al Paese”.

Greenpeace, Kyoto Club, Legambiente, e WWF Italia ricordano che secondo, l’International Energy Agency, che ogni anno redige un report su sviluppi e politiche del settore energetico, nel 2025 le energie rinnovabili saranno la prima fonte di elettricità al mondo. Il sorpasso sul carbone è ormai quasi fatto. Le fonti rinnovabili prese in esame dallo studio sono l’energia solare, l’eolica e l’idroelettrica. Nel 2023, se considerate tutte e tre insieme, hanno prodotto il 30% dell’elettricità mondiale e si prevede che la percentuale salirà fino al 37% nel 2026.

“Dati importanti – continuano le associazioni – su cui il Governo dovrebbe prestare attenzione invece di continuare a sussidiare le fonti fossili, in linea con il precedente esecutivo e a concentrarsi sulla costruzione di nuove infrastrutture, cosiddette strategiche soprattutto per il gas. Nel 2022 i sussidi alle fonti fossili sono più che raddoppiati arrivando, secondo l’ultimo report Legambiente, a quota 94,8 miliardi con i decreti per l’emergenza bollette causata dalle speculazioni sul gas. Inoltre, si sta cercando di realizzare altri rigassificatori a terra a Gioia Tauro e Porto Empedocle, oltre a quelli galleggianti di Piombino e Ravenna, che sono stati autorizzati incredibilmente in sei mesi, mentre un impianto eolico impiega mediamente 6 anni. Una strada totalmente sbagliata segnata anche dai ritardi che il Paese ha accumulato sul fronte delle politiche climatiche e che sono costati all’Italia il 44esimo posto nella classifica del Germanwatch, perdendo ben 15 posizioni rispetto al 2022”.

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