Combattere le cause di degrado del suolo e siccità, abbattere le emissioni climalteranti, attuare i piani di adattamento al cambiamento climatico, ripristinare gli ambienti naturali degradati, fermare il consumo di suolo, gestire l’acqua attraverso politiche di risparmio, prevenzione e tenendo conto del bilancio idrico per garantire una ripartizione sostenibile di questo prezioso bene comune: quello che dobbiamo fare è chiarissimo, dice il WWF in occasione della Giornata Mondiale contro la Desertificazione e la Siccità del 17 giugno, ma mancano ancora la capacità e la volontà di cooperare per fermare una crisi che rischia di rendere il Pianeta inabitabile per molte specie, inclusa quella umana.
Un problema per oltre 3 miliardi di persone
La desertificazione, il degrado del suolo e la siccità, rappresentano una crisi silenziosa e invisibile che colpisce le persone e il Pianeta. La vita umana ha bisogno di terreni fertili e produttivi per molte attività essenziali: quindi la desertificazione costituisce un ostacolo importante allo sviluppo sostenibile e un fattore che aggrava la povertà, i danni alla salute, l’insicurezza alimentare, la perdita di biodiversità, la scarsità d’acqua, le migrazioni forzate e la ridotta resilienza al cambiamento climatico o alle catastrofi naturali. Le stime indicano che il degrado del suolo causato dall’uomo interessa almeno 1,6 miliardi di ettari in tutto il mondo, con ripercussioni dirette su 3,2 miliardi di persone. Mentre la desertificazione colpisce principalmente le zone aride della Terra – ma anche in Italia vi sono zone a rischio desertificazione -, la siccità è diventata un evento comune in molte aree del mondo.
I periodi di siccità sono il risultato di una combinazione di variabilità climatica naturale, cambiamento climatico indotto dalle attività umane (dall’uso dei combustibili fossili alla deforestazione e al degrado del suolo) e cattiva gestione delle risorse idriche e del territorio. Il Panel scientifico intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) ritiene che la siccità agricola ed ecologica sia aumentata in diverse regioni di tutti i continenti. Gli effetti della siccità sulla vita e sui mezzi di sussistenza delle persone e sugli ecosistemi da cui queste dipendono sono devastanti. I modelli climatici prevedono fenomeni di siccità sempre più frequenti e gravi in futuro. Oltre che abbattere le emissioni climalteranti e il degrado del suolo, servono investimenti per favorire l’adattamento.
La situazione in Europa
A maggio di quest’anno oltre il 40% dell’Europa risultava colpita da qualche forma di siccità, incluse regioni insospettabili che si pensava fossero immuni: questo mette a rischio anche i raccolti e l’approvvigionamento alimentare. Benché le tendenze climatiche siano ben delineate e individuino il maggior rischio per i Paesi mediterranei, il nuovo clima colpisce in modo imprevedibile e non risparmia nessuno.
Al momento, condizioni di allerta siccità sono presenti nella regione del Mar Baltico, in Irlanda, nel Regno Unito, nella Francia settentrionale, nel Benelux, in diverse regioni della Germania, in alcune zone delle pendici settentrionali delle Alpi, in Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bielorussia, gran parte dell’Ucraina, Russia meridionale, Romania centrale e occidentale, Bulgaria, alcune regioni della Grecia, piccole aree dei Balcani occidentali, Cipro, gran parte della Turchia, Malta e le isole del Mediterraneo sud-orientale.
L’emergenza in Italia
In Italia, nonostante il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica si fosse adoperato per far approvare il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici nel 2023, da allora nulla è stato fatto per attuarlo e nell’ultima Legge di Bilancio non si trova menzione né impegni di spesa. La complessità del rischio di siccità richiede invece politiche intersettoriali che tengano conto innanzitutto del bilancio idrico almeno a livello di bacino idrografico, che deve essere aggiornato secondo i dati più recenti: la disponibilità d’acqua, infatti, si è ridotta del 19% nell’ultimo trentennio rispetto al precedente (ISPRA, 2022) e i consumi su molti settori sono aumentati; è quindi indispensabile ripensare la ripartizione della risorsa nei diversi settori (civile, agricolo, industriale) e avviare politiche di risparmio, prevenzione, manutenzione delle infrastrutture idriche che ci consentano di gestire nel modo migliore l’acqua e di garantire il deflusso ecologico nei corsi d’acqua.
Inoltre, è indispensabile garantire processi partecipati che consentano di sensibilizzare e coinvolgere le comunità locali nella ricerca di soluzioni adatte ai diversi territori. È indispensabile anche superare le logiche emergenziali, caratterizzate dalla presenza di Commissari nazionali e regionali alla siccità e riportare in capo alle Autorità di bacino distrettuale la pianificazione e la programmazione della risorsa idrica come previsto dalla Direttiva Quadro Acque (2000/60/CE).
L’uso irresponsabile della rete idrica
In Italia ci sono varie regioni a rischio siccità, ad iniziare dalla Sicilia (in parte anche a rischio di desertificazione) dove sono in corso azioni “straordinarie”, volute dal Commissario nazionale alla siccità, per cercare di ovviare alla minor disponibilità d’acqua, compresi i razionamenti sempre più frequenti in varie città. Il problema però non è solo il cambiamento climatico, ma anche la gestione fallimentare dell’intera politica regionale del settore: oggi nell’isola sono presenti 47 invasi di cui solo 30 funzionano e neanche a pieno regime, la rete idrica di distribuzione perde in alcune zone fino ad oltre il 55%, vengono costruiti dissalatori in aree dove erano già presenti, ma erano stati abbandonati. È evidente che quello che manca è una gestione responsabile della risorsa idrica.

Il consumo del suolo sparito dai radar
Per quel che riguarda il consumo del suolo in Italia, sempre secondo l’ISPRA, nell’ultimo anno ha interessato in media circa 20 ettari al giorno, mentre la prospettiva di una legge che affronti il problema è sparita dai radar del dibattito politico. Continua a mantenersi alto il tasso di artificializzazione e impermeabilizzazione del territorio e questo processo avviene a velocità elevata, causando la perdita, spesso irreversibile, di aree agricole e naturali che sono state sostituite da nuovi edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di servizio, all’interno e all’esterno delle aree urbane esistenti. Il consumo del suolo aggrava anche l’impatto della crisi climatica, favorendo l’espandersi delle “isole di calore” e le conseguenze negative di siccità e piogge estreme. Per non parlare dei danni immensi in termini di perdita di servizi ecosistemici e di biodiversità.
La classe politica italiana da 13 anni parla di una legge sul consumo di suolo, senza riuscire a concretizzare questo obiettivo: Per il WWF non si può più rimandare l’approvazione di una norma che garantisca un uso sostenibile ed efficiente del suolo, anche in attuazione della Nature Restoration Law. La ricetta è semplice e conosciuta da anni: agire in una logica di “Bilancio zero del consumo di suolo” evitando di occupare nuove aree e promuovendo il recupero – anche ai fini dell’adattamento climatico – delle aree degradate e/o sottoutilizzate. Nel suo Rapporto sul consumo di suolo del 2022, ISPRA riportava che nelle sole aree urbane si potrebbe intervenire su oltre 310 Km quadrati di edifici non utilizzati, una superficie enorme pari all’estensione di Milano e Napoli messe insieme.