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Il frutto della discordia

La nuova rubrica del WWF “Storie di sostenibilità” inizia dall’olio di palma e parla di foreste, biodiversità, salute pubblica, interessi economici e della forza del potere dei consumatori

C’è un filo invisibile che collega le foreste pluviali del Borneo agli scaffali dei nostri supermercati. È la storia dell’olio di palma: il grasso vegetale più economico, versatile e controverso del Pianeta. Una storia che parla di deforestazione, biodiversità in pericolo, salute pubblica e, sorprendentemente, del potere dei consumatori. Quello nostre scelte.

Ma facciamo un passo indietro.

L’ascesa dell’ingrediente perfetto

Sono gli anni ’90 quando l’industria alimentare scopre nell’olio di palma l’ingrediente perfetto: un prodotto che rimane semi-solido a temperatura ambiente, insapore, capace di garantire una lunga conservazione dei prodotti, facile da lavorare ed economico. La domanda esplode, il suo impiego diversifica e l’olio di palma diventa un ingrediente chiave in ambiti disparati. Si trova in biscotti, gelati, crackers ma anche saponi, cosmetici, e persino come componente dei biocarburanti.

Il fuoco e l’inizio della crisi globale

Le prime immagini satellitari, però, iniziano a rivelare un impatto devastante: ettari di foresta primaria tropicale in Indonesia e Malesia scompaiono fra le fiamme, sostituiti da immense distese di monocolture di palma da olio. Tra il 2001 e il 2015, le piantagioni di palma da olio crescono di 22 milioni di ettari, con un incremento dell’impronta del 167% a livello globale.

Deforestazione

Le province di Kalimantan, Riau e Sarawak, situate tra Indonesia e Malesia, si affermano come epicentri di questa espansione, dove oltre la metà delle foreste naturali viene sostituita dalle coltivazioni Anche nel Borneo, caratterizzato da una biodiversità unica e straordinaria, il 50% della perdita di foreste tra il 2005 e il 2015 è direttamente legato alla diffusione della palma da olio. di biodiversità. Alla deforestazione si aggiungono altri impatti devastanti: la distruzione delle torbiere, l’aumento degli incendi, l’inquinamento dell’aria e delle acque e le crescenti emissioni di gas serra. Tutto ciò minaccia gravemente sia la biodiversità sia i mezzi di sussistenza delle comunità locali. Le prime denunce delle organizzazioni ambientaliste cercano di portare alla luce questo enorme disastro, senza grandi risultati.

Biodiversità sotto assedio

Secondo l’IUCN, almeno 193 specie rischiano l’estinzione a causa della conversione delle foreste in piantagioni, tra cui tutte e tre le specie di orango, la tigre e il rinoceronte di Sumatra, oltre a gibboni, tapiri malesi, pangolini e macachi. Molti uccelli hanno perso fino all’80% del loro habitat e alberi e piante endemiche sono state cancellate nel momento in cui le foreste pluviali sono diventate vaste monoculture. L’orango è il volto internazionale della lotta contro la deforestazione da olio di palma, ma la crisi non è solo ecologica: intere popolazioni indigene vengono cacciate dalle loro terre, private dei mezzi di sussistenza e dei loro diritti tradizionali. L’olio di palma diventa così il simbolo di uno sviluppo insostenibile, il volto oscuro della nostra domanda di cibo (e non solo) a basso costo. L’allarme del movimento ambientalista resta però a lungo inascoltato.

Il risveglio dei consumatori

Nel 2016, come nel miglior colpo di scena, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) lancia l’allarme: durante i processi di raffinazione ad alte temperature (oltre i 200°C) a cui è sottoposto l’olio di palma, si formano contaminanti potenzialmente cancerogeni, e altri rischiosi per reni e fertilità maschile. I livelli di esposizione, soprattutto per bambini e adolescenti, sono stati giudicati motivo di “grave preoccupazione per la salute”, poiché possono superare le dosi giornaliere raccomandate. L’allarme sanitario si aggiunge a quello ambientale creando un cocktail esplosivo di paura. L’Italia reagisce con forza e si intensifica la già iniziata “palm oil-free mania”: migliaia di consumatori armati di smartphone, blog, inchieste televisive, campagne social e app scandagliano etichette e codici a barre. La scelta di non mettere nel carrello un prodotto con olio di palma diventa una rivoluzione silenziosa guidata dai consumatori, che spinge l’industria alimentare italiana a rivedere le proprie ricette e a rimuovere in poco tempo un ingrediente che sembrava insostituibile.

La via sostenibile

Oggi, grazie al materiale scientifico a disposizione, la vera questione non è se usare l’olio di palma, bensì come viene prodotto. Bandirlo completamente, sposterebbe la domanda verso colture alternative potenzialmente anche più impattanti. La palma da olio, infatti, è la coltura oleaginosa più efficiente al mondo, in grado di produrre fino a cinque volte più olio per ettaro rispetto alla soia, alla colza o al girasole. La sfida è promuovere una produzione di olio di palma sostenibile, certificata e trasparente, guidando il mercato verso pratiche responsabili che proteggano foreste, biodiversità e comunità locali senza sostituirlo con colture non necessariamente più sostenibili ì. La risposta a questa sfida sono le certificazioni come l’RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil), che il WWF sostiene e sollecita a migliorare continuamente, affinché garantisca davvero il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani. E invita i cittadini a fare scelte informate, anche nei settori meno visibili, dove il business dell’olio “non certificato” continua a prosperare in tantissimi prodotti quotidiani (come shampoo, detersivi, dentifrici e candele).  

La lezione del frutto della discordia

La storia dell’olio di palma ci insegna che non esistono soluzioni facili a problemi complessi, né scorciatoie quando si parla di sostenibilità. Il vero problema qui non è una singola coltura, ma il modello di agricoltura industriale che privilegia il profitto all’ambiente. La consapevolezza è il nostro potere: conoscere le certificazioni e la provenienza dei prodotti è la chiave per scelte davvero responsabili. La deforestazione continua, infatti, senza sosta nelle foreste tropicali e l’EUDR, il regolamento europeo contro la deforestazione importata, tarda a entrare pienamente in vigore. Ma i cittadini possono agire. Ogni gesto quotidiano può trasformarsi in un atto di responsabilità ambientale, ricordandoci che ogni decisione, per piccola che sembri, può cambiare il destino del Pianeta.

La salute del Pianeta inizia da quello che decidiamo oggi.

Il frutto della discordia. Guarda la video intervista a Eva Alessi per scoprire la storia dell’olio di palma

Costruire un futuro sicuro a partire dal nostro presente è necessario e possibile, soprattutto facendo tesoro delle esperienze collettive già vissute.

“Storie di sostenibilità” è la nuova rubrica del WWF nell’ambito della campagna Our Future

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