Pandanews

Con la sentenza n. 9155/2025 e l’ordinanza n. 9164/2025, il TAR del Lazio ha rispettivamente annullato in parte il Decreto Ministeriale del 21 giugno 2024 sulle aree idonee e sollevato questione di legittimità costituzionale sul cosiddetto Decreto Agricoltura. Si tratta di due decisioni di grande rilievo per il futuro delle fonti rinnovabili in Italia, che mettono seriamente in discussione un quadro normativo divenuto negli ultimi anni eccessivamente complesso e ostile allo sviluppo degli impianti a fonti rinnovabili, in aperto contrasto con le indicazioni del legislatore europeo, con le politiche climatiche e con gli interessi di indipendenza e sicurezza energetica del Paese (quindi con i fini dichiarati). 

Un decreto “illegittimo”

Il giudice amministrativo ha dichiarato illegittimo il decreto aree idonee nella parte in cui attribuisce alle Regioni la possibilità di istituire fasce di rispetto fino a 7 km dai beni tutelati, per l’assenza di una disciplina transitoria per i procedimenti autorizzativi in corso e, soprattutto, per la mancanza di principi e criteri uniformi a livello nazionale per l’individuazione delle aree idonee e non idonee. Proprio l’introduzione di tali criteri omogenei doveva rappresentare il fulcro del decreto, che invece ha finito per demandare integralmente alle Regioni decisioni cruciali, determinando una frammentazione normativa inutile e dannosa. Tale impostazione compromette, infatti, l’uniformità delle regole sul territorio nazionale, ostacolando la realizzazione degli impianti FER in vaste zone del Paese, con gravi ricadute in termini di certezza del diritto per imprese e cittadini e di coerenza nella tutela del paesaggio e dell’ambiente. 

L’interpretazione del concetto di “area non idonea”

La sentenza 9164/2025 fornisce, inoltre, una preziosa interpretazione del concetto di “area non idonea”, stabilendo che tale classificazione non può mai tradursi in un divieto assoluto alla realizzazione degli impianti. Anche in queste aree, infatti, i proponenti devono poter dimostrare la compatibilità del progetto con i valori tutelati, e l’amministrazione procedente non può motivare un diniego esclusivamente sulla base della localizzazione. Ogni decisione deve essere adeguatamente motivata, anche in forma sintetica, valutando caso per caso le caratteristiche dell’intervento alla luce degli interessi pubblici coinvolti e del quadro normativo europeo. In altri termini, la definizione di una porzione del territorio come “non idonea” non può mai portare ad una aprioristica e radicale sottrazione, “ex voluntate administrationis”, dell’area alla realizzazione degli impianti FER. 

I problemi in Europa

Il WWF, che ha più volte denunciato l’impatto negativo del DM aree idonee e del Decreto Agricoltura sugli obiettivi climatici ed energetici, accoglie con favore queste pronunce. Entrambi i provvedimenti, come ripetutamente segnalato, hanno introdotto vincoli arbitrari e ostacoli procedurali che stanno rallentando in modo significativo lo sviluppo delle rinnovabili. Si ricorda, inoltre, che è attualmente aperta una procedura di infrazione contro l’Italia per il mancato recepimento della Direttiva RED III, che impone agli Stati membri di semplificare e accelerare le procedure autorizzative per gli impianti FER.

A ciò si aggiunge la denuncia formale presentata nel novembre 2024 alla Commissione europea da WWF e A Sud sull’inadeguatezza del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), cha manca di politiche e misure sufficienti per raggiungere i target in materia di energia rinnovabile, compromettendo gli obiettivi climatici ed energetici e trascurando l’importanza di una transizione giusta. 

Non c’è più tempo per i ritardi

Il Governo italiano deve ora prendere atto dell’urgenza di una svolta radicale nel sistema autorizzativo delle rinnovabili. Entro i prossimi 60 giorni, i criteri per l’individuazione delle aree idonee, delle aree a procedura ordinaria e di quelle non idonee dovranno essere riscritti nel pieno rispetto dei principi stabiliti dalla legge delega e in coerenza con gli obiettivi europei. L’Italia non può più permettersi ulteriori ritardi: l’inazione ha un costo ambientale, economico e sociale che il Paese non può sostenere.

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