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Tartarughe marine e foche monache, un progetto per salvarle dalla crisi climatica

Saranno impiegate tecniche innovative già in parte sperimentate con successo

Trovare possibili soluzioni di adattamento per alcune specie animali che vivono nel mare e frequentano le coste mediterranee, habitat sempre più colpiti dagli effetti della crisi climatica.  

È questo l’obiettivo che anima il progetto LIFE ADAPTS (climate change ADAptations to Protect Turtles and monk Seals) appena avviato e cofinanziato dall’Unione Europea. Il progetto per cinque anni sarà condotto in tre Paesi mediterranei, Italia, Grecia e Cipro, in cui sono state identificate alcune aree chiave per la vita e la riproduzione di tre specie simbolo del Mare Nostrum: tartaruga verde (Chelonia mydas), tartaruga caretta (Caretta caretta) e foca monaca (Monachus monachus).

I partner

Il team di progetto è coordinato dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa ed è composto da enti di ricerca, istituzioni, associazioni di tutela specializzate e storicamente impegnate sulle tre specie, ricercatori. Gli altri sette partner coinvolti sono WWF Gruppo Foca Monaca in Italia, le associazioni ARCHELON (The Sea Turtle Protection Society of Greece) e  MOm (Hellenic Society for the Study and Protection of the Monk Seal) in Grecia,    MEDTRACS (Mediterranean Turtle Research and Conservation Society), il Centro Oceanografico dell’Università di Cipro (OC-UCY) e il Dipartimento per la Pesca e la Ricerca sul Mare del Ministero dell’Agricoltura, Sviluppo Rurale e Ambiente cipriota (DFMR) a Cipro.   

Gli obiettivi e le tecniche

Entro il 2030, grazie al progetto LIFE ADAPTS, si potranno valutare le potenzialità di resistenza e resilienza agli effetti del cambiamento climatico delle tre specie che possono essere colpite dall’innalzamento del livello del mare e dall’aumento delle temperature. L’obiettivo del progetto è sviluppare strategie in grado di proteggere i loro habitat cruciali, sia in mare aperto che lungo le coste e stimolare le capacità di resilienza delle tre specie. 

Saranno impiegate tecniche innovative già in parte sperimentate con successo. Tra loro ci sono il DNA ambientale (e-DNA, ovvero, raccolta di campioni di acqua o altro supporto per identificare la presenza di specie target) e il survey con droni. Senza dimenticare la telemetria satellitare, foto/video-trappole, immersioni e monitoraggi diretti sulle spiagge con rilevamento delle temperature della sabbia. Oltre ai ricercatori, verranno coinvolti volontari, diving e divers, diportisti e proprietari di barche con centinaia di attività di citizen science. Uno dei punti chiave del progetto è il coinvolgimento delle comunità interessate, insieme alle istituzioni locali, come soggetti fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi del progetto.    

Le azioni previste entro il 2030 sono: identificazione e mappatura dei siti di riproduzione e verifica della loro idoneità alla luce di futuri scenari di cambiamento climatico, identificazione di aree marine importanti per le tre specie, implementazione di misure di conservazione, disseminazione e diffusione materiali informativi per il pubblico, autorità o municipalità, che riguardano protocolli di intervento e indicazioni sul comportamento in caso di avvistamenti e esemplari in difficoltà, interventi di salvataggio su animali feriti e loro recupero per il rilascio in natura, riduzione di impatti antropici su siti chiave come grotte, siti di nidificazione e aree di alimentazione, miglioramento delle misure di conservazione per le tre specie nelle Aree Marine Protette e altre aree chiave.     

Effetto clima su tartarughe marine e foche monache

Nei litorali sabbiosi interessati dalla deposizione e schiusa delle uova delle tartarughe marine e nelle grotte scelte dalle foche monache per la riproduzione e accudimento dei piccoli c’è il rischio legato agli effetti della crisi climatica in atto. Queste due tipologie di siti sono influenzate, ad esempio, dall’innalzamento del livello del mare che potrebbe cancellarle o ridurre il loro potenziale. Inoltre, l’aumento delle temperature nella sabbia può provocare per le tartarughe marine un effetto di “femminizzazione” (aumento delle percentuali di individui femmine nelle schiuse). L’innalzamento del livello del mare può rendere inadatte le grotte utilizzate per l’allevamento dei cuccioli di foca monaca con perdita di habitat fondamentali per il successo riproduttivo di questa specie. Come conseguenza potrebbe verificarsi una riduzione del numero di piccoli nati, riduzione della ricchezza genetica e declino della popolazione.  In mare il cambiamento climatico influisce anche sulla disponibilità di cibo. Può causare modifiche nella distribuzione delle aree di alimentazione e nella disponibilità di risorse, come ad esempio, con l’aumento di specie aliene. Avere per tempo un quadro dei potenziali cambiamenti e attuare le misure adattative individuate, ci permetterà nel futuro di proteggere con maggiore efficacia queste icone del Mediterraneo con maggiore efficacia.

La situazione in Italia

Il WWF nell’estate del 2024 ha potuto mappare, grazie all’aiuto di volontari e ricercatori, circa 250 nidi di tartaruga marina (Caretta caretta) e registrare il numero di piccoli nati. Gran parte hanno riguardato i litorali della Sicilia (173, con circa 10.000 piccoli), seguita dalla Calabria (50 nidi con circa 2000 piccoli), Basilicata e Puglia (21 nidi con circa 1300 nati), Toscana con 6 nidi e 400 piccoli. Le coste italiane hanno quindi assicurato la nascita di oltre 13.700 tartarughini, almeno secondo quanto potuto osservare. Un dato che attesta un incremento crescente delle nidificazioni rispetto agli anni passati (200 nidi nel 2023). Quest’anno il WWF ha già mappato e protetto 15 nidi in Sicilia.   
Anche la foca monaca nei mari italiani sta vivendo una fase di ripresa. Lo dimostrano i diversi avvistamenti già avvenuti nel 2025 (zona palermitana e Golfo di Napoli) raccolti dal Gruppo Foca Monaca APS, Ispra e aree protette e i dati della campagna SpotTheMonk, guidata dalla ricercatrice dell’Università Bicocca di Milano Elena Valsecchi e basata sull’analisi eDNA. Sono state identificate diverse aree hotspot, alcune delle quali saranno approfondite con questo progetto.

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