È stata lanciata oggi la prima analisi del WWF Italia sulle strategie e le performance dichiarate dalle principali aziende elettrosiderurgiche italiane, “ACCIAIO VERDE: A CHE PUNTO SIAMO IN ITALIA? Analisi delle strategie e delle performance dichiarate dalle principali aziende di settore”. Dallo studio dei bilanci ESG delle prime dodici imprese per volumi di acciaio secondario prodotto, emerge che il 58% non ha definito obiettivi di decarbonizzazione chiari e monitorabili, solo 6 su 12 sono dotate di impianti fotovoltaici per l’autoproduzione di energia (quasi sempre al di sotto del loro potenziale), solo 4 su 12 stanno testando combustibili a basse emissioni come il biometano e solo 1 su 12 ha una policy interna per la salvaguardia della biodiversità.
L’urgenza di una visione a lungo periodo
“Al di là della contingenza geopolitica e della situazione di sovrapproduzione che caratterizza l’industria siderurgica globale, questi dati dimostrano che in Italia serve una visione di lungo periodo, investimenti mirati e una filiera più integrata e tracciabile”, ha commentato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia di WWF Italia.
L’analisi prende in esame i bilanci di sostenibilità pubblicati nel 2024 (su anno fiscale 2023) dalle principali aziende italiane del settore, con l’obiettivo di comprendere se, e in che misura, il comparto si stia realmente orientando verso un modello produttivo più sostenibile. I termini di comparazione sono quelli del report “Il settore dell’acciaio in Italia: criticità e opportunità” (WWF, luglio 2024) e, in particolare, gli scenari di decarbonizzazione ideale in esso tracciati.
Il termine “acciaio verde” non ha ancora una definizione univoca a livello internazionale ma, in questo caso, ci riferiamo a quello prodotto dalla fusione di rottami ferrosi tramite forno elettrico che emette circa l’80% in meno di emissioni di CO2 rispetto all’acciaio prodotto dalla fusione di minerale di ferro e carbone all’interno degli altoforni. Quest’ultimo tipo di produzione in Italia cuba attualmente il 16% della produzione totale, si svolge solo a Taranto e non è stata oggetto di questa ricerca.
Le 5 aree analizzate
Nonostante le differenze tra le aziende analizzate, emergono alcuni elementi ricorrenti nelle 5 aree tematiche investigate:
- Efficienza energetica e decarbonizzazione: le aziende paiono aver compreso l’importanza dell’efficientamento energetico, ma è necessario uno sforzo maggiore verso il “revamping” dei forni elettrici, che sono la principale fonte di emissioni dirette (Scope 1). 4 aziende su 12 stanno introducendo piccole quote di combustibili a basse emissioni di anidride carbonica fossile, come idrogeno o biometano. È necessario però che tali combustibili siano ottenuti in maniera sostenibile, evitando l’utilizzo di idrogeno grigio o blu e assicurandosi che il biometano derivi da biomassa di scarto e non da colture dedicate. La diminuzione delle emissioni indirette (Scope 2) viene generalmente promossa tramite l’acquisto di Garanzie d’Origine o PPA (Power Purchase Agreement), mentre maggiori sforzi dovrebbero essere dedicati all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, sia nei pressi dei siti produttivi che in altre località. Ciò avviene solo per 6 aziende su 12 del campione.
- Economia circolare, risorse idriche e biodiversità: le aziende presentano mediamente una quota molto elevata di materie prime seconde provenienti da processi di riciclo. Una caratteristica intrinseca della tecnologia forno elettrico ad arco. Tuttavia, i rottami di minor pregio devono spesso essere accoppiati a materiale vergine per aumentare la qualità dell’acciaio, riducendo la quota di materie prime da riciclo. Occorre quindi che aumentino gli sforzi congiunti per ottenere rottame di qualità elevata e che il preridotto da idrogeno verde (DRI) sostituisca gradualmente la ghisa introdotta nei forni. Le aziende affermano che l’utilizzo dell’acqua è generalmente monitorato e ottimizzato, anche in relazione al livello di stress idrico del territorio circostante. Alla salvaguardia della biodiversità non viene invece dedicata sufficiente attenzione (solo 1 azienda su 12 ha una policy dedicata) e un numero maggiore di progetti dovrebbe essere promosso per proteggere l’ambiente naturale (nel 2023 questi progetti erano portati avanti solo dal 5 imprese su 12).
- Organizzazione aziendale, gruppi di lavoro e supply chain: la maggior parte delle aziende si sono organizzate internamente per affrontare il tema della sostenibilità attraverso un board manageriale, che però spesso non comprende tutti i livelli decisionali necessari. Si sono creati dei gruppi di lavoro inter-aziendali per studiare in maniera congiunta alcune tematiche relative alla sostenibilità, ma l’idrogeno verde non sembra essere uno dei focus delle discussioni. La logistica intermodale è spesso promossa dalle aziende, che però dovrebbero dedicare più sforzi all’aumento della quota di merci trasportate via rotaia, al fine di migliorare sia la vita della popolazione nelle vicinanze dell’impianto, sia la qualità dell’aria e il livello di emissioni climalteranti.
- Certificazioni ambientali ottenute: la maggior parte delle aziende ha normato i propri sistemi di gestione degli aspetti ambientali ed energetici (ISO 14001 e ISO 50001), mentre solo alcune dichiarano gli impatti dei propri prodotti tramite l’utilizzo di etichette ambientali di Tipo III (ISO 14025). Alcune utilizzano la norma ISO 14021 per autodichiarare, senza certificazione da enti accreditati, il contenuto di materiale riciclato nei propri prodotti, che invece dovrebbe essere certificato tramite altre norme, come la ISO 22095:2020 che tratta le catene di custodia.
- Policy aziendali e progetti: la maggior parte delle aziende ha definito un piano di decarbonizzazione a breve e a lungo termine ma solo 4 su 12 hanno definito degli obiettivi chiari e monitorabili nel loro avanzamento. Sono in corso diversi progetti dedicati a tecnologie innovative ma gli sforzi previsti appaiono ancora insufficienti.
Una transizione a portata di mano con l’impegno di pubblico e privato
“La transizione verso una siderurgia a basse emissioni di carbonio è oggi a portata di mano. Per cogliere l’occasione offerta dalle innovazioni tecnologiche sono però richiesti impegno e organizzazione da parte delle aziende, una collaborazione efficace tra pubblico e privato e un quadro normativo stabile e incentivante”, spiega Andrea Mio, docente del Centro Interdipartimentale per l’Energia, l’Ambiente e i Trasporti Giacomo Ciamician – Università degli Studi di Trieste, che ha curato l’analisi.
“Le aziende che sapranno coniugare innovazione, sostenibilità ed efficienza operativa avranno un ruolo da protagoniste nel nuovo scenario industriale globale. Come WWF Italia vogliamo fare la nostra parte, fornendo stimoli al settore privato e proposte politiche al settore pubblico, cui spetta governare la transizione in atto, contemperando tutti gli interessi in gioco, a partire da quelli dei lavoratori, delle comunità e degli ecosistemi grazie a cui e all’interno dei quali le imprese siderurgiche si trovano ad operare”, conclude Midulla.