“Il Governo e la Regione Sardegna paiono aver deciso di ignorare la salute dei cittadini sardi e l’ambiente dell’Isola per convergere a favore di nuove infrastrutture fossili, con disastrosi impatti ambientali, sociali ed economici che non aiuteranno l’economia sarda né tantomeno la lotta alla crisi climatica, ma costituiranno, invece, un costo di lungo periodo per tutti gli italiani”. Questo il commento di Sardegna Rinnovabile (alleanza formata da WWF, Legambiente, Greenpeace e Kyoto Club) alla bozza di DPCM che gira da settimane, e che parrebbe Alessandra Todde e la giunta regionale abbiano accettato nonostante confligga con le posizioni espresse dall’attuale presidente della Regione quando era sottosegretaria e viceministra del Ministero dello Sviluppo Economico.
Si scrive decarbonizzazione, si legge metanizzazione
Sebbene nel DPCM si parli di “decarbonizzazione” della Sardegna, si procede in modo deciso verso la metanizzazione dell’isola, con nuove infrastrutture annesse. Con tale scelta, il Governo e la Regione Sardegna sembrano dimenticare che per “decarbonizzazione” non si intende solo l’abbandono del carbone. In un quadro di effettiva decarbonizzazione sarebbe quindi fondamentale elaborare una puntuale e tempestiva strategia di uscita da tutti i combustibili fossili, incluso il gas naturale. Proprio il gas, costituito prevalentemente da metano, un gas serra 83 volte più climalterante della CO2, diventerebbe invece un asse portante della strategia energetico-climatica della Sardegna, regione nella quale è attualmente assente.
Una lezione di pochi giorni fa
La Regione e il Ministro dovrebbero imparare la lezione venuta dal TAR del Lazio che ha annullato in parte il Decreto Ministeriale del 21 giugno 2024 sulle aree idonee e sollevato questione di legittimità costituzionale sul cosiddetto Decreto Agricoltura: la programmazione del territorio è giusta, ma il porre artificialmente ostacoli insormontabili alle rinnovabili, per esempio dichiarando il 99% del territorio non idoneo, rende il territorio ingovernabile, va contro la legislazione comunitaria e certamente non è nell’interesse dei sardi. Sardegna Rinnovabile aveva messo in guardia la Regione e il Governo più volte.
Opere infrastrutturali ad altissimo impatto
L’elenco di opere di cui alla bozza di DPCM, con ben due nuove navi rigassificatrici (FSRU), una a Oristano e una a Porto Torres, subordinata quest’ultima alla riconversione a gas metano della centrale di Fiume Santo, condanna la Sardegna a nuovi investimenti fossili, che rischiano di trasformarsi in stranded asset (investimenti destinati a perdere valore). Le due nuove FSRU saranno, inoltre, collegate attraverso tratti di rete di trasporto ai principali bacini di consumo del settore industriale, alle aree che “saranno interessate dalla realizzazione di centrali termoelettriche alimentate a gas”, nonché alle reti di distribuzione realizzate al momento dell’entrata in vigore del decreto, anche con riferimento alle reti esistenti a GPL e aria propanata oggetto di riconversione a gas naturale.
Opere infrastrutturali ad altissimo impatto che, per la loro pervasività e prospettiva di lungo periodo, non possono assolutamente essere considerate “opere temporanee” necessarie a garantire la sicurezza energetica della Sardegna, come il DPCM sembra assumere. Ma la situazione potrebbe peggiorare: nella lettera d’intenti, infatti, si fa riferimento a “ulteriori terminali di rigassificazione, qualora si ravvisassero migliori opportunità, nel Sud Sardegna a partire, in normali condizioni di esercizio, dai terminali di Panigaglia e OLT”. In sostanza, una clausola in bianco priva di proporzionalità e coerenza con le strategie di decarbonizzazione dell’Italia e dell’Europa al 2030. Il progetto di metanizzazione proposto nel 2015 è fallito perché era, già allora, antistorico. Infatti, per gestire il periodo transitorio, tra la chiusura delle centrali a carbone e il sistema delle rinnovabili, sono eventualmente sufficienti pochi, piccoli depositi costieri.
Una rinuncia
Con il programma di opere tracciato nel DPCM in pratica si rinuncia alla possibilità del salto tecnologico, di sfruttare, cioè, il fatto che gran parte della Sardegna non sia metanizzata per favorire l’elettrificazione e una transizione diretta alle rinnovabili. Una Sardegna con un settore elettrico 100% green al 2030 avrebbe potuto (e ancora potrebbe) costituire una buona pratica di livello europeo e un indubbio vantaggio competitivo, con benefici per tutti i cittadini sardi: lo dimostra anche il nuovo studio dell’Università di Padova, del Politecnico di Milano e dell’Università di Cagliari e promosso dal Coordinamento FREE, che verrà illustrato tra pochi giorni, il 19 maggio, in un incontro nell’Aula Magna della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Cagliari.
Nel testo del DPCM che è girato, inoltre, si giustifica la scelta di investire in infrastrutture fossili per garantire la transizione alle rinnovabili, senza considerare il dimensionamento (sproporzionato) e il grave impatto ambientale, paesaggistico e sociale prodotto medio tempore da un invasivo metanodotto e dalle due FSRU, che sarebbero insediate per decenni nei porti delle due città sarde senza alcun coinvolgimento delle amministrazioni locali e dei cittadini, con buona pace degli impatti sul traffico marittimo ed il turismo. E senza considerare l’impatto ambientale di questa inutile strategia a due tempi: altro che impatto delle rinnovabili. Questo in tempi in cui la siccità mette ormai a rischio costante le attività agro-pastorali in Sardegna, con ingenti perdite economiche. Da sottolineare che nella lettera d’intenti si parla di “perequazione” dei costi con ripartizione degli oneri (alti) su tutti gli utenti italiani.
Il PNIEC già indica chiaramente gli interventi di rafforzamento delle infrastrutture elettriche, come il Tyrrhenian Link, il SACOI3 e gli accumuli, funzionali a centrare l’obiettivo della neutralità climatica. Gli investimenti in infrastrutture fossili, ai quali la Sardegna e l’Italia sembrano non voler rinunciare, ci allontanano invece da tali obiettivi.
Le richieste di Sardegna Rinnovabile
Sardegna Rinnovabile ritiene che il decreto ometta volutamente di rapportare l’obiettivo (garantire la sicurezza energetica della Sardegna e favorire l’accesso all’energia a prezzi competitivi per i comparti industriali in crisi) con la misura del progetto: due FSRU e le relative opere infrastrutturali. Nessuna attenzione o cautela per ambiente e salute, né tantomeno per il paesaggio e i beni identitari interessati dalle opere, che sembrano entrare in gioco solamente quando si parla degli impianti rinnovabili.
Sardegna Rinnovabile chiede dunque di riconsiderare la necessità e la portata di tali opere e di rivedere tali scelte a favore di una pianificazione territoriale strategica, che metta davvero al centro la salute, l’ambiente il territorio e l’indipendenza energetica dei sardi.