Con il suo ultimo parere rilasciato sul progetto Ponte sullo Stretto di Messina la Commissione VIA VAS da tecnica diventa politica e il Ministero dell’ambiente perde il ruolo di terzietà nei controlli ambientali. Nonostante le analisi fin qui fatte, quelle ambientali e naturalistiche sono state dichiarate gravemente insufficienti dalla stessa Commissione VIA VAS tant’è che ha prescritto sostanziose integrazioni. In particolare, la Commissione ha chiesto che per la biodiversità fosse disposto un aggiornamento “del piano di monitoraggio ambientale da eseguirsi per la fase ‘ante operam’ con il monitoraggio” per numerosi degli habitat sia terrestri che marini che relativi alle zone umide.
Il primo parere
Sempre “ante operam” la Commissione ha formalmente chiesto anche un monitoraggio “che copra un anno intero” sulle specie migratorie prendendo in considerazione “anche altre fasce orarie rispetto a quelle analizzate (09.00/18.30) e dovrà fornire informazioni riguardo le specie coinvolte dalla migrazione annuale”. Per il mare sono stati prescritti ulteriori aggiornamenti di monitoraggi e analisi da effettuarsi “per un anno intero” “ante operam” per le comunità planctoniche e la componente nectoniana cioè sul movimento di pesci e cetacei.
Pur in assenza di questi elementi di analisi, la Commissione VIA VAS aveva rilasciato un parere positivo trovando l’escamotage di chiedere come prima prescrizione di attivare una procedura autorizzativa in deroga, detta di “III livello” per cui occorre comprovare l’assenza di soluzioni alternative rispetto l’opera proposta, l’esistenza di motivi imperativi di rilevante interesse pubblico prevalente (IROPI) per la realizzazione del progetto, l’individuazione di idonee misure compensative da adottare.
Nuovo parere, stesso errore
Chiamata ora a pronunciarsi su questa procedura, la Commissione commette lo stesso errore del primo parere rilasciato: si pronuncia cioè in assenza delle necessarie analisi naturalistiche ambientali che lei stessa aveva richiesto. I monitoraggi e le analisi annuali prescritte sono infatti ben lungi da essere state ultimate e quindi il piano di compensazioni obbligatorio è stato valutato con riferimenti insufficienti.
Il WWF aveva segnalato questi elementi ostativi alla Commissione ricordando che le compensazioni che la procedura prevede sono puntualmente parametrate dalle norme comunitarie che indicano appunto i coefficienti minimi di compensazione (2:1 per habitat e/o specie prioritari di interesse comunitario, 1.5:1 per habitat e/o specie di interesse comunitario, 1:1 per ulteriori habitat, specie o habitat di specie). È, quindi, evidente anche semplicemente sotto il profilo logico che per applicare il coefficiente moltiplicatore bisogna conoscere il fattore “1” a cui questo si applica e che la Commissione non aveva questo possibilità poiché non ha le analisi da lei stessa prescritte.
Da tecnica a politica
La Commissione, dunque, alza le mani di fronte alla dichiarazione del Governo che asserisce l’assenza di alternative al progetto, di fatto, si dichiara incompetente rispetto alla dichiarazione d’interesse pubblico prevalente dell’opera anche per fini militari, non approfondisce il rapporto costi benefici che viene fornito e si accontenta degli interventi compensativi proposti ignorando le sue stesse richieste di analisi integrative.
Si tratta di un atteggiamento spiegabile solo alla luce di un mandato politico preciso che la Commissione ha dovuto ottemperare facendo così perdere il suo ruolo tecnico e con esso il ruolo di terzietà che il Ministero dell’Ambiente dovrebbe avere nelle valutazioni ambientali che vengono svolte nel nome di un interesse pubblico sovraordinato e trasversale rappresentato dalla tutela dell’ambiente.