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Nella giornata mondiale il dramma delle tartarughe marine vittima della plastica

Ogni anno 570 mila tonnellate di plastica finiscono nelle acque del Mar Mediterraneo, l’equivalente di 4,7 miliardi di posate di plastica monouso ogni giorno   La plastica nel Mediterraneo. L’emergenza plastica affligge tutte le acque del pianeta, ma…

Ogni anno 570 mila tonnellate di plastica finiscono nelle acque del Mar Mediterraneo, l’equivalente di 4,7 miliardi di posate di plastica monouso ogni giorno
 
La plastica nel Mediterraneo. L’emergenza plastica affligge tutte le acque del pianeta, ma il Mediterraneo ha una differenza fondamentale: essendo un mare chiuso, le correnti fanno tornare sulle coste l’80% dei rifiuti di plastica. Risultato: per ogni chilometro di litorale, se ne accumulano oltre 5 chilogrammi al giorno (dati del Report  “Stop the flood of plastic”. 
L’Europa è il secondo produttore mondiale di plastica. Segno che, in molti casi, non viene smaltita in modo corretto o efficace è che ogni anno 570 mila tonnellate di plastica finiscono nelle acque del Mar Mediterraneo: l’equivalente di 4,7 miliardi di posate di plastica monouso ogni giorno (ossia 3.600 al secondo). Le attività costiere sono responsabili della metà della plastica che si riversa nel Mar Mediterraneo, mentre il 30% arriva da terra trasportato dai fiumi. La percentuale rimanente dell’inquinamento da plastica deriva da attività marine. 
 

Un rischio per mari e oceani. Dalla Fossa delle Marianne, all’Everest, ai ghiacciai dei poli, frammenti più o meno grandi di plastica sono stati trovati praticamente ovunque, anche nel plancton, nei crostacei, nei molluschi, nei pesci, nei mammiferi marini. Plastiche e microplastiche rappresentano dal 70% al 90% dei rifiuti in mare in funzione della regione oceanica. Secondo le stime più recenti oggi negli oceani del Pianeta sono presenti oltre 150 milioni di tonnellate di plastica: ogni anno ne riversiamo oltre 8 milioni di tonnellate. Secondo l’UNEP, il 15% dei rifiuti in mare galleggia in superficie, un altro 15% rimane nella colonna d’acqua sottostante e il restante 70% si deposita sui fondali. 
Senza un rapido ed efficace cambio di paradigma entro 2050 ci sarà, in peso, più plastica che pesce. Nel 2018, l’UNEP (Programma Ambiente delle Nazioni Unite) ha inserito il problema della plastica negli oceani tra le 6 emergenze ambientali più gravi (insieme ad altre come i cambiamenti climatici, l’acidificazione degli oceani e la perdita di biodiversità).
 
Il dramma delle tartarughe marine. Le tartarughe marine sono certamente tra le specie maggiormente soggette a intrappolamento e ingestione di plastica. Nel Mediterraneo possiamo ritrovare 3 delle 7 specie di tartarughe marine presenti nel mondo, la tartaruga verde Chelonia mydas, la tartaruga liuto Dermochelys coriacea e la tartaruga comune Caretta caretta, quest’ultima è la più comune e l’unica che nidifica lungo le nostre coste. I principali pericoli per la sopravvivenza delle specie di tartarughe marine presenti nel mar Mediterraneo risultano essere legati all’attività antropica: pesca, turismo intensivo, contaminazione e intrappolamento nei rifiuti. L’esistenza di questi animali fatta eccezione per la nascita e la deposizione delle uova, si svolge completamente in mare aperto: una tartaruga marina passa il 96% del proprio tempo sott’acqua e in acqua si nutre. Considerando che ogni minuto l’equivalente di un camion pieno di rifiuti in plastica finisce nei mari del Pianeta, possiamo dire con certezza che la trappola della plastica è molto insidiosa per le tartarughe. Uno studio ha rilevato che l’80% delle tartarughe Caretta caretta del Mediterraneo ha ingerito rifiuti di plastica. 
 
    
Fino ad oggi si pensava che l’attrazione delle tartarughe per la plastica, in particolare per i sacchetti, fosse dovuta alla loro somiglianza alle meduse, preda preferita di molte specie. Tuttavia, sono state trovate tartarughe intrappolate o che avevano ingerito altri oggetti che non assomigliano affatto a meduse… il che sottendeva altre ragioni. Una ricerca recentissima pubblicata su Current Biology propone una teoria diversa: a ingannare le tartarughe sarebbe l’odore della plastica. Questo perché i rifiuti plastici alla deriva nell’oceano possono essere ricoperti da un microfilm di batteri, alghe e piccoli invertebrati, che producono un odore apparentemente gradito dalle tartarughe. Questo potrebbe attirarle in una trappola olfattiva, con conseguenze a volte fatali. Per quelle tartarughe che non si lasciano ingannare, il problema è un altro ancora: anche le meduse ingeriscono plastica. Nella Pelagia noctiluca, la medusa più abbondante nel mar Mediterraneo, è stata trovata plastica. Le meduse costituiscono un target “inaspettato” della plastica in mare e la loro contaminazione, con frammenti della grandezza superiore a un centimetro, pone ulteriori preoccupazioni per la dieta delle tartarughe. 
L’ingestione di plastica è associata sia a danni fisici, come blocco intestinale, riduzione delle riserve energetiche e della fame, sia alla potenziale tossicità dovuta a sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche presenti nella plastica stessa (ftalati e ritardanti di fiamma) o adsorbite sulla superficie stessa della plastica.
E se non bastasse quella in mare, la presenza di plastica sulle spiagge può compromettere le nidificazioni: la sabbia in cui la tartaruga depone le uova, in presenza di frammenti di questo tipo non mantiene la stessa umidità e modifica la temperatura, con ripercussioni sullo sviluppo e la schiusa.
 
La plastica e l’emergenza Covid. L’emergenza sanitaria legata al COVID-19 mette tutti davanti ad una nuova assunzione di responsabilità: è fondamentale evitare di disperdere in natura mascherine, guanti monouso o altri dispositivi dopo che li abbiamo usati. I dispositivi di protezione individuale e altri strumenti sanitari (come mascherine, guanti, salviettine e monodose di disinfettante), infatti, sono prodotti o confezionati con la plastica. Secondo le stime del Politecnico di Torino, l’ltalia avrà bisogno di 1 miliardo di mascherine e mezzo miliardo di guanti al mese e, secondo una stima del WWF, se solo l’1% delle mascherine venisse smaltito in modo errato e disperso in natura, ciò comporterebbe l’inquinamento ambientale di ben 10 milioni di mascherine e conseguenti 40 tonnellate di plastica al mese.
Sempre per motivi igienico-sanitari è aumentato il consumo di plastica per gli imballaggi degli alimenti nella grande distribuzione e nei supermercati. Sono numerose le organizzazioni ambientaliste che sul web proprio in questi giorni stanno denunciando da Hong Kong alla Francia, da Israele all’India, passando per la Tailandia (solo nel mese di aprile i rifiuti di plastica a Bangkok sono aumentati del 62% (5) ), l’aumento di rifiuti di plastica generati dal Covid-19 che hanno già raggiunto il mare. Secondo l’organizzazione non profit Francese Mer Propre che si dedica alla pulizia delle spiagge nel paese, il numero di mascherine raccolte lungo la costa è in continua crescita: la sola Francia ne ha ordinate 2 miliardi e una quantità rilevante di queste rischia di finire sul fondo del mare se non si interviene subito per sensibilizzare i cittadini (6). Poiché questi oggetti possono sopravvivere in mare più 450 anni, se non la spazzatura da Covid (così è stata recentemente ribattezzata) rimarrà in eredità al pianeta per molte generazioni.
 
Come affrontare il problema. Per risolvere un problema complesso, occorrono soluzioni complesse che coinvolgano tutti gli attori: la ricerca, la partecipazione dell’industria (soprattutto quella turistica), la consapevolezza e coinvolgimento dei cittadini e una forte volontà politica a livello nazionale e sovranazionale. Il WWF, con la campagna “No Plastic in Nature” lavora per realizzare un’economia circolare per la plastica basata sulla riduzione dei consumi, sul riutilizzo, sulla ricerca di prodotti alternativi a minor impatto, sul miglioramento della gestione dei rifiuti, sull’incremento del riciclo e sull’ampliamento del mercato delle materie seconde. 
A livello globale, il WWF sta spingendo per un trattato globale legalmente vincolante per tutti i paesi del mondo per contrastare l’inquinamento marino da plastica. Stiamo anche promuovendo e sostenendo l’adozione di misure più severe contro l’inquinamento da plastica nel Mediterraneo attraverso la Convenzione di Barcellona, le politiche nazionali e dell’UE – come il divieto di alcuni oggetti monouso e obiettivi vincolanti per migliorare la raccolta dei rifiuti.  La società deve ripensare radicalmente il proprio rapporto con la plastica, riducendo l’uso di plastica monouso non necessaria. 
Continuano anche le numerose attività del WWF sul territorio per contrastare l’inquinamento da plastica, che vede in azione moltissimi volontari, impegnati nelle attività di pulizia e di monitoraggio delle spiagge, a tutela delle specie come le tartarughe marine. Clicca QUI per approfondire sulla pagina web>>
Questo è il primo di una serie di approfondimenti sulla plastica che il WWF rilascerà nel corso della stagione estiva
Per aiutare il WWF a proteggere le tartarughe marine dall’emergenza plastica, ognuno di noi può adottare simbolicamente una tartaruga marina: in questo modo potrà e sostenere i progetti del WWF per salvare gli individui in difficoltà e curarli nei nostri centri di recupero.  
 
 
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