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Il vero valore dei pesci: il caso della cernia

Quale è la specie simbolo delle aree marine protette del Mediterraneo? Si potrebbe pensare che sia la rarissima foca monaca, l’elusiva tartaruga marina Caretta caretta o anche la stessa posidonia, straordinaria pianta marina produttrice di ossigeno. Ma questo…

Quale è la specie simbolo delle aree marine protette del Mediterraneo? Si potrebbe pensare che sia la rarissima foca monaca, l’elusiva tartaruga marina Caretta caretta o anche la stessa posidonia, straordinaria pianta marina produttrice di ossigeno. Ma questo status di icona speciale appartiene, sottolinea invece il WWF, alla cernia bruna, uno dei pesci più importanti e conosciuti lungo le coste del Mediterraneo, ma anche più pescati, sia a livello sportivo (dai subacquei), che professionale.

Milioni di appassionati subacquei si immergono ogni anno per ammirare le grandi cernie brune (Epinephelus marginatus)  che popolano i fondali delle Aree marine Protette. Laddove è vietata la pesca questi animali, che raggiungono il quintale di peso, possono essere avvistati anche a pochi metri di profondità. A conti fatti una cernia vale molto di più da viva che da morta. Al mercato del pesce un esemplare di 15 chili può valere circa 450 euro.

Lo stesso animale in 20 anni, se lasciato in libertà, grazie alle attività di diving può garantire un introito di almeno 300.000 euro. Applicato a tutte le aree del Mediterraneo dove la specie è protetta, questo modello di eco-business potrebbe generare da 14 milioni di euro all’anno a oltre 25 milioni, considerando le spese per viaggi, trasporti, imbarchi e pernottamenti dei turisti.

Nonostante rappresenti appena lo 0,82% degli oceani di tutto il mondo, il Mediterraneo ospita il 7,5% di tutte le specie marine conosciute –  tra cui cetacei, squali, mante, la rara foca monaca, le tartarughe marine – di cui un quarto sono endemiche, vivono cioè solo in questo mare. Ma il Mediterraneo è anche una delle vie d’acqua più trafficate al mondo (15% del traffico marittimo globale) ed è minacciato anche dalle trivellazioni petrolifere, pesca eccessiva e cambiamenti climatici.
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