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La natura nell’armadio

In questo periodo, parliamo frequentemente di sprechi alimentari, ma spesso ignoriamo che lo spreco è un problema che riguarda tanti ambiti della vita. In un mondo in cui il consumismo è un motore trainante delle economie, è importante…

In questo periodo, parliamo frequentemente di sprechi alimentari, ma spesso ignoriamo che lo spreco è un problema che riguarda tanti ambiti della vita. In un mondo in cui il consumismo è un motore trainante delle economie, è importante invece riflettere sul fatto che ogni bene che acquistiamo comporta un consumo di natura. 

Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente, in questi ultimi decenni in Europa si è verificato un cambiamento radicale delle abitudini di noi consumatori. Tra il 1996 e il 2015 la quantità pro-capite di abiti acquistati dai cittadini è aumentata del 40%. Si è arrivati a quasi 13 kg di vestiti a testa nel 2015, per un totale di 6,4 milioni di tonnellate. Ma come dicevamo, c’è un grande quantitativo di natura che possiamo imparare a vedere in ognuno dei nostri abiti.  

L’industria della moda è una grande consumatrice di risorse, in primis di acqua che serve in molte fasi della filiera, dalla coltivazione delle materie prime, come il cotone, al trattamento dei tessuti. La coltivazione, oltre all’acqua, utilizza ingenti quantità di pesticidi con profonde ripercussioni sulla salute umana e dell’ambiente, a cui si devono aggiungere tante altre sostanze chimiche, spesso tossiche, usate nella lavorazione, colorazione e trattamento dei tessuti. Se guardiamo invece alla filiera di produzione dei capi misti o sintetici, come quelli realizzati in poliestere, scopriremo che questi sono grandi consumatori di petrolio, una risorsa fossile, non rinnovabile, indispensabile alla loro fabbricazione. E ancora, la produzione mondiale di tessuti, produce 1,2 miliardi di tonnellate di emissioni di carbonio all’anno, più di quanto ne producano i trasporti aerei e marittimi insieme. Oltre alle fasi di produzione, i nostri capi spesso viaggiano moltissimo: la catena di produzione di un paio di jeans o di sneakers può coinvolgere anche 4 continenti per la realizzazione e l’assemblaggio delle loro varie componenti, con un evidente impatto diretto sull’ambiente.  

Tutto ciò mentre almeno il 30% degli abiti presenti nei nostri armadi non è stato usato nell’ultimo anno e molti dei nostri acquisti finiscono nella spazzatura! L’Italia con 440mila tonnellate di vestiti smaltite in 1 anno detiene il record europeo: ognuno di noi butta in media ogni anno 7,2 kg di vestiti2. Di questi solo circa 1,5 kg sono riciclati, il resto finisce in discarica o all’inceneritore.  

L’abitudine al consumismo è da abbandonare. È ora di guardare ai nostri armadi con un occhio diverso, imparare a ridurre i nostri acquisti ai capi necessari, senza esagerare. Privilegiamo la qualità e non la quantità! Acquistiamo capi realizzati per durare, prodotti in modo responsabile nel rispetto dell’ambiente e dei lavoratori. Salveremo il nostro portafogli e il pianeta investendo su capi che ci rispecchiano. Possiamo anche acquistare abbigliamento di seconda mano e vintage che prolungano la vita di un vestito e contribuiscono a creare una cultura collettiva di riduzione degli impatti ambientali. 

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