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L’acquifero del Gran Sasso è in pericolo

Questa mattina, presso la sala Caduti di Nassirya a Palazzo Madama del Senato, l’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso, promosso dalle Associazioni WWF, Legambiente, Mountain Wilderness, ARCI, ProNatura, Cittadinanzattiva, Guardie Ambientali d’Italia – GADIT, FIAB, CAI e Italia…

Questa mattina, presso la sala Caduti di Nassirya a Palazzo Madama del Senato, l’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso, promosso dalle Associazioni WWF, Legambiente, Mountain Wilderness, ARCI, ProNatura, Cittadinanzattiva, Guardie Ambientali d’Italia – GADIT, FIAB, CAI e Italia Nostra, ha tenuto una conferenza stampa per illustrare la situazione di grave pericolo per l’acquifero del Gran Sasso in Abruzzo che rifornisce d’acqua circa 700.000 cittadini delle province di L’Aquila, Teramo e Pescara.

L’acquifero è reso insicuro dalle due gallerie autostradali dell’A24 Roma-Teramo (oltre 10 km ciascuna), attualmente gestita dalla Strada dei Parchi SpA, e dai Laboratori sotterranei dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare che sono stati realizzati sotto il Gran Sasso dal 1969 al 1987, a diretto contatto con la falda. Nel corso degli anni, per evitare la pressione sulle gallerie e sui laboratori, l’acqua della falda è stata captata e utilizzata per la distribuzione potabile. Circa 100 litri/secondo vengono prelevati dall’area dei Laboratori e circa 700 litri/secondo dall’area delle gallerie. La mancata impermeabilizzazione delle gallerie e dei Laboratori ha determinato negli anni molteplici problemi, i più gravi dei quali si sono verificati il 16 agosto del 2002 quando una fuoriuscita di trimetilbenzene durante un esperimento condotto nei Laboratori determinò la perdita della sostanza nell’acquifero e da questa nella rete di distribuzione, e l’8/9 maggio del 2017 quando per due giorni fu vietato il consumo di acqua in gran parte della provincia di Teramo a seguito dell’intervento della ASL che aveva evidenziato problemi nell’acqua proveniente dalle captazioni del Gran Sasso.

A seguito di quest’ultimo incidente il 13 settembre prossimo inizierà un processo presso il Tribunale di Teramo che vede imputati i vertici della Strada dei Parchi SpA, dell’INFN e della Ruzzo Reti. I reati contestati sono l’inquinamento ambientale (art. 452 bis CP) e il getto pericoloso di cose (art. 674 CP). L’inchiesta giudiziaria, che porta la firma dei PM Greta Aloisi, Davide Rosati e Stefano Giovagnoni, coordinati dal procuratore Antonio Guerriero, ha visto anche la produzione di una corposa relazione da parte dei periti nominati dalla Procura che descrive una situazione drammatica per la mancanza di sicurezza del sistema.

Recentemente la Strada dei Parchi SpA ha anche annunciato per il prossimo 19 maggio la chiusura delle gallerie autostradali. Una chiusura che isolerebbe l’Abruzzo rispetto Roma e renderebbe molto più difficile il collegamento tra i due versanti.

A fronte di tale situazione la Regione Abruzzo, con la delibera della giunta regionale del 29 aprile 2019, ha avanzato la richiesta di dichiarazione di emergenza e nomina di un commissario straordinario governativo per la messa in sicurezza del sistema Gran Sasso. E il Governo, attraverso il Ministero delle Infrastrutture dei Trasporti ha confermato la volontà di accogliere tale richiesta annunciando la predisposizione di un apposito emendamento nella conversione in legge del Decreto Sbloccacantieri.

In realtà, non è la prima volta che si arriva alla nomina di un commissario da parte del Governo. Già a giugno 2003 fu dichiarato lo stato di emergenza socio-ambientale nel territorio interessato dagli interventi di messa in sicurezza del sistema Gran Sasso a cui seguì nel luglio del 2003 la nomina di Angelo Balducci come Commissario straordinario, poi prorogata per anni e chiusa solo nel 2009. Come ha recentemente attestato anche la richiamata perizia dei consulenti nominati dalla Procura di Teramo, nonostante gli oltre 80 milioni di euro spesi, gli interventi effettuati durante il commissariamento non hanno, se non in minima parte, risolto la mancanza di impermeabilizzazione nelle gallerie e nei Laboratori, tanto è vero che, a distanza di anni, il problema è rimasto sostanzialmente invariato e si torna a chiedere un commissario.

L’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso ribadisce che qualsiasi ipotesi di commissariamento dovrà tenere fermi i seguenti aspetti:

  1. l’accelerazione delle procedure non può essere a scapito del rispetto della normativa posta a difesa dell’ambiente e della salute umana: l’acquifero del Gran Sasso fornisce acqua ad oltre la metà degli abruzzesi e si trova all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga;
  2. la messa in sicurezza questa volta deve essere completa e definitiva. Non si tratta di superare una situazione d’emergenza per la paventata chiusura delle gallerie autostradali, ma di rendere finalmente impermeabili gallerie e Laboratori rispetto all’acquifero;
  3. per rendere veramente sicuro l’approvvigionamento d’acqua dal Gran Sasso è necessario  che lo Stato individui ingenti fonti finanziarie. Trattandosi di opere nazionali deve essere tutto il Paese a farsi carico di questa esigenza. Si tratta di almeno 170 milioni di euro, secondo quanto riportato nella delibera n. 33 del 25 gennaio 2019 “Gestione del rischio nel sistema idrico del Gran Sasso – DGR n. 643 del 7.11.2017. Definizione attività urgenti ed indifferibili”: una cifra considerevole che dovrà essere amministrata bene e in maniera trasparente;
  4. partecipazione e trasparenza sono due aspetti fondamentali che mal si conciliano con una gestione commissariale. Ma proprio per evitare di ritrovarsi tra 15 anni nella stessa situazione di oggi, va evitato il modello del commissariamento del 2003 quando calò su tutta la vicenda il più assoluto silenzio. L’acqua, bene fondamentale per la vita e l’economia di un territorio, deve essere gestita in trasparenza, assicurando informazione e partecipazione;
  5. va garantito l’abbassamento del rischio per l’acqua avviando da subito le azioni necessarie per rimuovere dai Laboratori le sostanze pericolose che peraltro già oggi non potrebbero essere stoccate all’interno di un acquifero. La loro presenza nei Laboratori (ad es. circa di 1.000 tonnellate di acqua ragia e 1.292 tonnellate di trimetilbenzene) contrasta con la normativa “Seveso” (Decreto legislativo n. 105/2015) sulle strutture a rischio di incidente rilevante, come sono classificati i Laboratori dell’INFN fin dal 2002, e della normativa a protezione degli acquiferi.
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