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No alle trivelle in Adriatico, sit-in ambientalista in piazza San Marco

Sono 36.823 i kmq del Mar Adriatico croato suddivisi in 29 macro aree da investigare per la ricerca di idrocarburi. Un’attività che va ad aggiungersi a quelle già presenti nel Mar Adriatico: attualmente sono 9 le piattaforme di…

Sono 36.823 i kmq del Mar Adriatico croato suddivisi in 29 macro aree da investigare per la ricerca di idrocarburi. Un’attività che va ad aggiungersi a quelle già presenti nel Mar Adriatico: attualmente sono 9 le piattaforme di estrazione di gas in acque croate. Sul versante italiano le aree interessate da attività di ricerca petrolifera ammontano a quasi 12.000 kmq. Sono 6 le piattaforme già attive per l’estrazione di greggio. Nell’Alto Adriatico italiano, invece, sono attive 39 concessioni per l’estrazione di gas, da cui si estrae il 70% del metano prodotto in Italia.
Numeri e dati preoccupanti che oggi hanno portato Greenepeace, Legambiente, WWF Italia e la rete di associazioni croate SOS Adriatico ad organizzare una manifestazione a Venezia, in piazza San Marco, per dire No alle trivelle in Adriatico. Alla manifestazione hanno partecipato centinaia di visitatori provenienti da ogni parte del mondo per ricordare che il bacino adriatico è uno solo e va tutelato attraverso un forte coordinamento internazionale.
 
Greenpeace, Legambiente, WWF e il network S.O.S za Jadran chiedono un’azione più incisiva del Governo italiano nei confronti del Governo croato: a quanto risulta alle associazioni, infatti, il Ministero dell’Ambiente italiano a metà gennaio ha chiesto informazioni al Governo di Zagabria sui 9 progetti senza che però, a quanto risulta, sia arrivata risposta; nel frattempo, invece, il Governo sloveno ha ottenuto di poter essere parte consultata nella Valutazione Ambientale Strategica.
Le associazioni inoltre ricordano che nelle acque italiane dell’Alto Adriatico, area particolarmente sensibile per i rischi di subsidenza, sino allo scorso anno erano vietate le trivellazioni, mentre con l’art, 38 del decreto Sblocca Italia (dl 133/2014) il Governo ha aperto a “progetti sperimentali di coltivazione” da sottoporre a VIA. Grazie alla campagna delle Associazioni ambientaliste l’art. 38 del decreto Sblocca Italia (dl 133/2014) è stato impugnato di fronte alla Corte Costituzionale per violazione, tra l’altro, del Titolo V della Costituzione da ben 7 Regioni: Abruzzo, Calabria, Campania, Lombardia, Marche, Puglia, Veneto.
 
Il Mar Adriatico è un ambiente estremamente fragile per le caratteristiche proprie di “mare chiuso” che definiscono un ecosistema molto importante e già messo a dura prova. In questo contesto si inseriscono le nuove attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi con tutti gli impatti che comporterebbero non solo per l’ecosistema marino, ma anche per le attività che oggi costituiscono un’importante ricchezza per i Paesi costieri come la pesca e il turismo. E’ la stessa documentazione prodotta dal governo croato che, sul possibile impatto transfrontaliero in Italia relativamente ai campi di ricerca denominati 18 e 24, scrive: “le aree sono distanti circa 22 km dall’area Natura 2000 IT 911001 Isole Tremiti (SCI) e IT 9110040 Isole Tremiti (SPA). Data la distanza dai campi di ricerca non si prevedono impatti transfrontalieri per quanto riguarda le aree Natura 2000 in Italia, escluso in casi di incidenti.”.
In sostanza dobbiamo incrociare le dita che nulla accada.
 
La questione della sicurezza delle attività estrattive è al centro della direttiva 2013/30/UE sul rafforzamento delle condizioni di sicurezza ambientale delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi. Un altro riferimento importante è anche la direttiva 2008/56/CE, riguardante la Strategia marina, che ha tra gli altri l’obiettivo del buono stato ecologico del mare al 2020 e prevede di valutare anche l’impatto cumulativo di tutte le attività per una gestione integrata del sistema marino-costiero.
 
“Chiediamo al Governo italiano – dichiarano le associazioni – di impegnarsi per l’istituzione di un tavolo Italia-Croazia per la VAS sui pozzi confinanti con le aree territoriali. La Croazia lo ha già istituito (obbligatoriamente) con la Slovenia, proprio su richiesta ufficiale di quest’ultima. Serve ora un atto anche da parte del nostro Paese. Riteniamo, inoltre, fondamentale che l’Italia sia promotrice di un’azione per la tutela del mar Adriatico, anche nei confronti degli altri Paesi e in sede europea.
 
Greenpeace, Legambiente, WWF e il network S.O.S za Jadran aggiungono inoltre: “La strada intrapresa da alcuni Paesi, Croazia e Italia in primis, giustificata secondo la logica di incrementare la propria economia e la propria indipendenza energetica nazionale, è miope, di breve durata ed anacronistica. Le quantità di idrocarburi in gioco, infatti, inciderebbe di poco sull’economia e sull’indipendenza energetica dei singoli Stati, la maggior parte del guadagno andrebbe a compagnie private, che vedrebbero incrementare le proprie casse personali mentre gli eventuali e possibili danni ricadrebbero sulla collettività. Al contrario è necessario ragionare su una scala più vasta, al di là dei limiti territoriali nazionali, su quale deve essere il futuro del Mar Adriatico, con le popolazioni locali, le associazioni ed i portatori di interessi a beneficio della collettività, non delle compagnie petrolifere”.
 

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