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Oggi possiamo ripensare il rapporto fra natura e aree urbane

I maggiori centri urbani del nostro Paese sono inaspettatamente più verdi di quanto ci immaginiamo: il patrimonio di verde (pubblico e privato) delle 14 maggiori città metropolitane, dove vivono quasi 10 milioni di persone, ammonta complessivamente a circa…

I maggiori centri urbani del nostro Paese sono inaspettatamente più verdi di quanto ci immaginiamo: il patrimonio di verde (pubblico e privato) delle 14 maggiori città metropolitane, dove vivono quasi 10 milioni di persone, ammonta complessivamente a circa 1.200 chilometri quadrati- un’estensione equivalente a 4 volte l’area urbanizzata della città di Roma inclusa nel Gran Raccordo Anulare, GRA -, e lo testimonia la ricchezza della stessa biodiversità urbana. Nello stesso tempo il nostro disordinato e diffuso sviluppo urbano mette sempre più a rischio le aree di maggior pregio naturalistico: in un buffer di un km dai siti della rete Natura 2000, le aree urbanizzate hanno avuto dagli anni 50 ad oggi un incremento medio del 260% e, quindi, con una accentuazione importante della insularizzazione e frammentazione di questi habitat strategici. Il rapporto equilibrato tra natura e città è quindi fondamentale per il nostro benessere, la nostra salute, la nostra sicurezza, lo scopriamo questi giorni in cui l’emergenza sanitaria ci costringe a casa e molta natura riconquista gli spazi che abbiamo dovuto abbandonare.

I tursiopi che dapprima hanno costeggiato i moli del porto di Cagliari e poi hanno fatto capolino nelle rade degli altri porti italiani, da Trieste a Reggio Calabria. I pesci, i cigni e le anatre nelle acque lagunari, per una volta cristalline, che si insinuano nei canali di Venezia. Come le lepri nelle aree verdi a nord di Milano e i cigni nei Navigli e i lupi che si avventurano persino nelle strade di Pescara, sono tutti lì a testimoniare che l’effetto barriera creato dalle nostre muraglie di cemento e mattoni, dalle nostre distese di asfalto è in realtà inesistente ed è bene che lo sia sempre meno nel modo con cui ci rapportiamo con il territorio e con la natura. In città come Roma o Napoli sono state censite oltre 50 specie di uccelli, come la colorata ghiandaia o rapaci come il barbagianni.  

In questo periodo eccezionale potrebbe essere avvita una riflessione su come pianificare e progettare le nostre città in un rapporto armonico con la natura. È quanto evidenzia il WWF con il dossier “Città che osano la selvaticità”.

Nel dossier si ricorda come, secondo il rapporto ONU World Urbanization Prospects 2018, nelle città del mondo viva oggi circa il 55% della popolazione mondiale e al 2050 si stima che vi risiederà il 68% dell’umanità, mentre in Europa 2/3 della popolazione del continente (500 milioni di persone) già oggi vive nelle città e in Italia l’ISTAT ha rilevato che, al 2016, i comuni italiani con un’alta urbanizzazione rappresentano meno del 5% del territorio, ma accolgono più del 33% delle persone.

Le agenzie che ci occupano di salute, a cominciare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ci dicono chiaramente che l’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico – che vengono amplificati dalla cementificazione e dalla densità edilizia – sono tra i fattori di rischio per tutta la popolazione. 

Come giustamente ricordato nel Report “Urban Nature 2018” del WWF dall’Associazione Nazionale Pediatri la perdita progressiva di superficie verdi a causa dell’urbanizzazione rappresenta in Italia un rischio concreto per la popolazione e per i soggetti più fragili come i bambini, le donne in gravidanza, gli anziani.

A Wuhan, città che conta 12 milioni di abitanti, l’epidemia di Covid 19 è stata ingigantita e  accelerata, come ha ricordato anche dalla virologa Ilaria Capua, dal contesto di una megalopoli densamente abitata e con fitte e articolate relazioni commerciali – e non solo – con il resto del mondo.
Gli studi prodotti per il WWF dal gruppo di ricerca dell’Università dell’Aquila, coordinato dal professor Bernardino Romano hanno rilevato, prendendo in esame la relazione tra territorio urbanizzato e la rete Natura 2000 in Italia, in un buffer di un km nell’immediata adiacenza dei Siti di Interesse Comunitario negli anni ’50 c’erano 84.000 ha di aree urbanizzate, divenuti poi oltre 300.000 dopo il 2000, con un incremento medio del 260% .

Numerosi sono gli esempi in Europa di città che hanno imparato a convivere con la natura. Londra, diventata National Park City, nel luglio 2019,  si è data l’obiettivo di realizzare una copertura verde del 10% della città entro il 2050, per rendere la capitale del Regno Unito più verde, più salubre, più selvaggia, mentre il progetto “Clever Cities”, finanziato con i fondi europei Horizon e realizzato anche grazie al contributo del WWF, ha già iniziato a lavorare in città come Madrid, Amburgo e Milano per la realizzazione di “soluzioni basate sulla natura”, come i tetti verdi. L’“European Green Capital Award”, creato dalla Commissione Europea nel 2008, è stato assegnato di recente a Nimega (Olanda) nel 2018, Oslo (Norvegia) nel 2019, Lisbona (Portogallo) nel 2020. In Germania il governo centrale – attraverso il Ministero dell’Ambiente e l’Agenzia Federale per la Conservazione della Natura – sta finanziando il programma Städte wagen Wildnis (“Città che osano la selvaticità”) per supportare progetti di rinaturazione  urbana.

Come si ricorda nel dossier WWF, le città in cui viviamo non possono essere deserti artificiali in cui il nostro benessere, la nostra salute e la nostra sicurezza continuano sono condizionati da un modello di produzione e consumo che sono insostenibili dal punto di vista ambientale. È ormai evidente che è necessario costruire un futuro basato su sistemi naturali vitali, salubri e resilienti. Una sfida che non può che riguardare anche le nostre città che devono dimostrare di aver fatto tesoro di quello che è successo negli ultimi mesi e di come, il Coronavirus ha sconvolto le nostre vite proprio a partire dai nostri centri urbani.

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