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Referendum nucleare, una lezione non ancora recepita

Due anni fa, il popolo italiano espresse un’indicazione chiarissima sul futuro energetico del Paese: il 94% dei partecipanti a un referendum pronunciò un netto no al nucleare, optando per un modello energetico fondato sulle energie rinnovabili, nonché sul…

Due anni fa, il popolo italiano espresse un’indicazione chiarissima sul futuro energetico del Paese: il 94% dei partecipanti a un referendum pronunciò un netto no al nucleare, optando per un modello energetico fondato sulle energie rinnovabili, nonché sul risparmio e sull’efficienza energetica. Nei due anni trascorsi i segnali di risposta a quella indicazione, specie quelli venuti dalla politica, sono stati molto deludenti.

In occasione del secondo anniversario del referendum contro il nucleare, le associazioni ambientaliste Greenpeace, Legambiente e WWF, e il Comitato No al Nucleare e Si alle Energie Rinnovabili ribadiscono che la strada tracciata con quel voto è l’unica praticabile, non solo per salvare l’ambiente e il clima, ma anche per dare il via alla nuova economia decarbonizzata e sostenibile. Gli Italiani hanno salvato l’Italia dalla bancarotta: i costi proibitivi del nucleare, infatti, avrebbero rappresentato un esborso in grado di affossare ulteriormente l’economia nazionale senza apportare alcun significativo vantaggio occupazionale o industriale. Le centrali termoelettriche tradizionali sono, erano e sono sovrabbondanti: l’Italia ha una potenza istallata che è il doppio del massimo picco di richiesta di energia mai raggiunto e che, normalmente, riceve una domanda nettamente inferiore alla sua capacità. Tant’è che molte imprese energetiche oggi hanno gli impianti fermi e cercano sussidi statali (capacity payment), togliendoli alle rinnovabili.

Gli ambientalisti sottolineano che oggi, a capo di Assoelettrica, siede il maggior esponente del fronte nuclearista, Chicco Testa, che col cambio di ruolo ancora una volta cambia posizione, dimenticando quelle che lui stesso, non più tardi di due anni fa, ricordava come le “vittime della catena di carbone, olio e gas”. Mentre le maggiori potenze industriali del Pianeta stanno decisamente puntando sulle rinnovabili, mentre la Germania attua la Transizione Energetica (Energiewende), l’Italia è ancorata a un dibattito sorpassato e ha da poco approvato una Strategia Energetica Nazionale che è solo testimonianza di un governo dimissionario e che non prevede seri strumenti di supporto e indirizzo per la crescita delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. Occorre abbandonare la politica delle trivellazioni per la ricerca e l’estrazione di olio e gas, i cui rischi ambientali, per il territorio e per il turismo sono largamente superiori ai vantaggi, occorre chiudere le centrali a carbone, che mettono a rischio il clima, l’ambiente e la salute. Occorre utilizzare il gas come energia di transizione e non puntare a improbabili hub che produrrebbero nuove infrastrutture già oggi inutili rispetto alla domanda.

L’allarme crescente per il cambiamento climatico e per la concentrazione di CO2 in atmosfera ha indotto la IEA, non solo gli ambientalisti, a chiedere investimenti nelle energie rinnovabili per evitare di trovarsi sulla strada di un aumento di 5°C di aumento medio della temperatura mondiale. La stessa IEA indica all’Europa la necessità di chiudere prioritariamente le centrali a carbone.
Gli ambientalisti invitano quindi Governo e Parlamento a varare una strategia di decarbonizzazione a lunga scadenza, come quadro per provvedimenti urgenti e puntuali che rappresentino precise scelte in campo energetico a favore del modello efficiente e rinnovabile del futuro.

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