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Ultima legislatura, 5 anni persi per clima e ambiente

Il WWF traccia un bilancio della legislatura che si sta concludendo: nessun passo avanti è stato fatto su questioni cruciali

Unica nota positiva la tutela dell’ambiente in Costituzione

Al netto delle problematiche globali e della situazione pandemica ed economica emergenziale, dopo una intera legislatura caratterizzata anche da maggioranze ampie (almeno per i governi Conte 1 e Draghi), rispetto a questioni ambientali cruciali ci ritroviamo sostanzialmente al punto di partenza del 2018 con alcune situazioni persino peggiorate. Una serie di dati oggettivi testimonia come, pur essendovi evidenti responsabilità anche da parte di altre istituzioni (prime fra tutte le Regioni) e del mondo imprenditoriale, lo Stato è apparso debole se non assente sia nelle politiche d’indirizzo sia nelle azioni di monitoraggio e controllo: la cosa più grave è la mancanza di una visione in grado di porre solide basi per una transizione ecologica ormai non più rinviabile.

“Si sono persi 5 anni preziosi in una situazione che avrebbe richiesto un agire deciso e continuo, a causa dei cambiamenti climatici in atto e della continua, progressiva perdita di biodiversità: al di là delle tante dichiarazioni fatte, la legislatura non ha contribuito a invertire nessuno dei trend negativi in campo ambientale” dichiara il presidente del WWF Italia Luciano Di Tizio che aggiunge: “L’unico risultato importante ottenuto è l’inserimento della tutela dell’ambiente nella Costituzione con la modifica degli articoli 9 e 41. Una affermazione di principio importante che, tuttavia nella legislatura uscente non ha avuto la concreta applicazione che le emergenze che viviamo avrebbero richiesto. Ci aspettiamo dal prossimo Parlamento e dal prossimo Governo un deciso e urgente cambio di passo, nell’interesse della collettività dei cittadini, nei fatti e non soltanto nelle promesse e negli impegni”.
Basta osservare alcuni temi ambientali principali:
Le fonti energetiche rinnovabili, fondamentali per combattere i cambiamenti climatici, sono cresciute molto meno di quanto necessario per rispettare gli obiettivi internazionali sul contrasto all’innalzamento della temperatura. Di fatto non si sono superati i limiti evidenziatisi negli ultimi 8 anni: dal 2014 è stato installato in media meno di 1 GW di nuovi impianti da fonti rinnovabili ogni anno, quando per raggiungere gli obiettivi climatici al 2030 ne dovremmo installare 8 l’anno (crescita possibile, considerato che nel 2011 ne sono stati installati per ben 11 GW). Nel frattempo si sono perse le tracce del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, fondamentale anche per impostare nuove pianificazioni e programmazioni capaci di adattarsi e al tempo stesso mitigare gli effetti negativi con cui ormai dobbiamo fare i conti.
Anche questa legislatura si chiude senza che sia stata approvata una legge sul consumo del suolo. I dati in tal senso sono agghiaccianti e testimoniano come il consumo di territorio, anziché diminuire, stia aumentando. Secondo l’ISPRA nel 2021 “le nuove coperture artificiali hanno riguardato … circa 19 ettari al giorno, il valore più alto degli ultimi 10 anni”.
Perdiamo suolo anche perché non siamo in grado di proteggerlo. Nella legislatura non è nato alcun nuovo parco nazionale e nessuna nuova area marina protetta, mentre la fauna, patrimonio indisponibile dello Stato, continua a subire una completa deregulation venatoria regionale che il governo non cerca neppure di bloccare, nonostante, grazie ai ricorsi delle associazioni ambientaliste, i TAR di tutta Italia censurino costantemente le politiche filovenatorie delle Regioni (26 ricorsi contro i calendari venatori accolti tra il 2018 e il 2021!). È positivo che il Ministero della Transizione Ecologica abbia concluso la nuova Strategia Nazionale sulla Biodiversità, ma il lavoro sembra più compilativo che strategico, non incidendo sui processi di governance che hanno condizionato a tal punto l’azione da non far raggiungere gli obiettivi fissati per il 2020.
Nessun reale miglioramento nella gestione del bene comune per eccellenza, l’acqua: tra i continui tentativi di ribaltamento del risultato referendario del 2011 contro la privatizzazione e la mancanza di manutenzioni, l’acqua continua ad essere gestita come se fosse una risorsa infinita. Se poco o nulla si fa per il risparmio idrico (il consumo è passato da 240 litri/giorno/abitante nel 2019 a 237 nel 2020 e 236 nel 2021), risulta drammatico il dato delle perdite: nel triennio 2019/2021 si è perso circa un miliardo di metri cubi di acqua ogni anno dai soli acquedotti dei capoluoghi di provincia, un dato che a livello complessivo aumenta portando la media nazionale a circa il 42%.
Nonostante tutti gli obiettivi di riduzione e prevenzione della produzione dei rifiuti fissati da leggi e piani nazionali e regionali, la quantità dal 2018 al 2021 appare sostanzialmente stabile. Assumendo come riferimento i rifiuti solidi urbani, la produzione rimane dal 2014 costante intorno ai circa 30 milioni di tonnellate con una flessione a circa 29 nel 2020 ma solo per effetti collegabili alla pandemia. La raccolta differenziata cresce arrivando nel 2020 a una media nazionale del 63% (quindi ancora al di sotto dell’obiettivo del 65% che si sarebbe dovuto raggiungere nel 2012), ma lasciando aperti due problemi: il divario Nord/Sud anche per la differente disponibilità d’impianti (cui si tenta di porre rimedio con il PNRR) e l’incertezza che alla raccolta differenziata segua per tutte le componenti un corrispondente recupero di materia.
Grandi preoccupazioni vengono anche da aspetti più gestionali.
Ad esempio, un dato sicuramente indicativo della mancanza di soluzioni efficaci in campo ambientale è rappresentato dalle procedure d’infrazione che colpiscono l’Italia. Quelle sull’ambiente dal 2018 al 2022 sono aumentate da 13 a 16 confermando l’ambiente come il settore su cui l’Unione Europea maggiormente censura il nostro Paese.
Preoccupa la situazione gestionale del passato Ministero dell’Ambiente, oggi Ministero della Transizione Ecologica. Avviata una modifica dell’organizzazione interna, poi rivista dal suo successore Cingolani, l’allora Ministro Costa ha rinunciato alla stabilizzazione del personale che già da anni operava all’interno del Ministero, avviando un concorso pubblico per 251 posti di funzionari per 8 distinte categorie che, dopo la partecipazione di migliaia di candidati a test ed esami di selezione, ha portato all’assunzione di sole 96 persone non risolvendo minimamente la carenza di organico cui si doveva rimediare, né superando la necessità di dover ricorrere a personale esterno.
Ma le maggiori preoccupazioni vengono dall’attuazione concreta del Ministero della Transizione Ecologica che ha sostituito, allargandone le competenze, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Questa trasformazione, richiesta dal WWF Italia assieme a Greenpeace e Legambiente all’allora Presidente incaricato Mario Draghi in sede di consultazioni preliminari alla formazione del Governo, non ha fatto compiere all’Italia quel salto di qualità che ci si aspettava nel campo delle scelte ambientali. Le politiche di conservazione della natura, già molto deboli, sono quasi scomparse dalla lista delle priorità a vantaggio di altri ambiti che, anziché affiancarsi all’azione di tutela, l’hanno sovrastata in termini di investimento. L’assorbimento del Dipartimento sull’Energia dal Ministero per lo Sviluppo Economico non è stato adeguatamente bilanciato, tanto più che il Ministro, in relazione al cambiamento climatico, nonostante competenze innegabili sul piano tecnico, ha messo in secondo piano le politiche territoriali proprie dei principi di adattamento e resilienza. Nella gestione del ministro Cingolani più che il ministero della Transizione ecologica abbiamo avuto il “ministero della Transizione Tecnologica” che ha perso di vista uno degli aspetti centrali della transizione ecologica, ossia il limite delle risorse naturali. In questo quadro il fatto che l’aggiornamento del rapporto sul capitale naturale del Paese non sia stato pubblicato, pur essendo stato predisposto con dati preoccupanti sulla perdita di biodiversità, è certamente indicativo.
Anche le aspettative da tutti riposte al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza vanno ridefinite. Il PNRR, quasi omnicomprensivo, avrebbe dovuto supportare la ripresa economica nell’ottica della transizione ecologica ma ad oggi questo appare tutt’altro che certo. Il Piano, ad esempio, porta un sistema di nuove infrastrutture che occuperanno altro suolo e che, nonostante l’estrema attenzione anche ambientale voluta dal Ministro Giovannini su ogni singola opera, nel loro complesso non sono bilanciate da una pari crescita delle misure di conservazione e gestione ambientale del territorio.

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