L’ABC DELLA SPECIE
La tartaruga marina comune è una specie carnivora che si nutre di meduse, pesci, crostacei e molluschi. Gli individui attraversano nel corso della vita due diverse fasi ecologiche: all’inizio frequentano la zona superficiale del mare aperto e, successivamente, si spostano in fondali bassi.
La tartaruga marina comune è una specie diffusa tanto nelle acque degli oceani Atlantico, Indiano e Pacifico quanto nel bacino del Mediterraneo e del Mar Nero. In particolare, nel Mediterraneo, i siti di deposizione delle uova sono localizzati soprattutto nella parte orientale: Grecia, Turchia, Cipro, Libia, mentre nella parte occidentale le nidificazioni sono da ritenersi più irregolari. In Italia, se i nidi deposti ogni anno sono solo alcune decine di unità (contro le 7 mila dell’intero Mediterraneo), i mari attorno alla Penisola rivestono grande importanza per le popolazioni del bacino.
CARATTERISTICHE E CURIOSITÀ
Una tartaruga marina può vivere fino a 50 anni, raggiunge la maturità sessuale intorno ai 30 e la sua attività riproduttiva dura circa 10 anni.
Dopo l’accoppiamento, che avviene in acqua, le femmine depongono le uova su una spiaggia tra maggio e agosto. Le uova sono incubate dal calore del suolo e la temperatura determina il sesso: uova che si trovano a temperature maggiori di 29°C daranno origine alle femmine, mentre al di sotto di tale temperatura saranno maschi. Un nido contiene mediamente un centinaio di uova che si schiudono dopo un periodo di 45-70 giorni. La schiusa avviene in modo simultaneo in due o tre notti successive. I nuovi nati iniziano la fase di vita in mare e torneranno sulla terra ferma solo dopo 30 anni per riprodursi.
LE MINACCE
Le tartarughe sono seriamente minacciate dalle attività umane, in quanto sono sensibili a al disturbo del turismo nelle aree di riproduzione, all’inquinamento, in particolare della plastica, e soffrono della pesca accidentale (bycatch). Si stima che ogni anno circa 150mila tartarughe marine finiscano catturate accidentalmente dagli attrezzi da pesca nel Mediterraneo e che di queste oltre 40.000 muoiano.
Mentre l’attività riproduttiva è generalmente concentrata in alcuni importanti siti, cosa che rende teoricamente possibile la protezione di queste zone, sebbene la cementificazione e il degrado delle coste e dei litorali siano un grave problema, l’impatto della pesca sugli individui a mare costituisce un problema gravissimo che rappresenta una seria sfida a chi si adopera per la conservazione delle tartarughe marine.
COSA FA IL WWF
Abbiamo fatto della lotta all’inquinamento della plastica in mare una delle nostre più impegnative battaglie. I rifiuti più grandi finiscono per soffocare le tartarughe marine, i delfini e i pesci e, quando si frammentano in particelle microscopiche, entrano nelle catene alimentari e arrivano fino all’uomo. Uno studio di 10 anni sulla tartaruga marina comune ha dimostrato che il 35% degli esemplari analizzati avevano inghiottito rifiuti di questo tipo, fino a 150 frammenti ingeriti. La presenza di plastica sulle spiagge può compromettere anche le nidificazioni: la sabbia in cui mamma tartaruga depone le sue uova, in presenza di frammenti di plastica non mantiene la stessa umidità e modifica la temperatura, con ripercussioni sullo sviluppo e la schiusa. Per questo interveniamo periodicamente per ripulire le spiagge con i volontari evitando l’uso dei mezzi meccanici che distruggono il delicato ecosistema litoraneo. Organizziamo i campi di sorveglianza quando viene identificato un sito di nidificazione per aumentare il successo di schiusa delle uova.
Circa 900 tartarughe ferite vengono soccorse e accolte ogni anno nei Centri di Recupero WWF, come quelli di Policoro, Molfetta, Lampedusa e Torre Guaceto, dove vengono curate e poi, per fortuna, molte liberate in mare. Per procedere nell’attività quotidiana, questi centri hanno bisogno continuo di medicine e strumenti chirurgici.